Quale presidente della sezione Balcanica-Carpatica-Danubiana, ho partecipato (recandomici in giornata da Sofia in auto: 700+700 km), con il vessillo della Sezione e tre alpini del Gruppo Bulgaria, al pellegrinaggio che il Coro Malga Roma – da me ben conosciuto in quanto era giunto mesi fa su mio invito a Sofia – ha effettuato al Ponte di Perati, al confine fra Grecia ed Albania.
Lo abbiamo fatto per testimoniare agli alpini della Julia Caduti nel novembre 1940 che il loro sacrificio viene ricordato anche dagli alpini che vivono ed operano nei Balcani, e in particolare dalla sezione Balcanica-Carpatica-Danubiana che comprende la Grecia e l’Albania. Avevo letto su L’Alpino di agosto-settembre 2011 del pellegrinaggio al massiccio del Golico e del fortuito rinvenimento di resti umani e di reperti. Mi ero posto una domanda: e se la situazione fosse la stessa nell’area del Ponte di Perati?
Mi sono recato al Ponte, avendone parlato con il gen. C.A. dei Carabinieri Vittorio Barbato, responsabile del Commissariato generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra, di cui mi onoro di essere amico. Egli mi aveva già assicurato di avere attivato l’Ambasciata d’Italia a Tirana per avviare la necessaria trattativa con le autorità albanesi per avere l’autorizzazione a che una missione di Onorcaduti possa cercare eventuali resti dei nostri Caduti nell’area e dare loro degna sepoltura in Italia. Ancora una volta il generale Barbato ha dimostrato di possedere le doti di altissima sensibilità e iniziativa indispensabili alle sue funzioni. Ho quindi chiamato il mio collega Ambasciatore d’Italia a Tirana, pregandolo tramite l’Addetto per la Difesa dell’Ambasciata di seguire la questione, e mi ha assicurato che si sarebbe adoperato in merito.
Un breve resoconto della visita al Ponte di Perati. Vi siamo giunti in auto dalla Grecia: da Ioannina (non lontano da Igoumenitsa, di fronte a Corfù), si arriva in un’ora alla frontiera di Mertziani, che apre alle 10. Naturalmente, è più facile giungere al Ponte di Perati da sud, cioè dalla Grecia, piuttosto che attraversare l’Albania… Ovviamente, per noi italiani, merita recarsi soprattutto sul lato albanese dei resti del Ponte. In frontiera, inutile chiedere del Ponte di Perati: gli albanesi, doganieri e non, vi indirizzeranno a Berat, cittadina situata a molti chilometri a nord della frontiera.
Uscendo dalla zona di frontiera, dopo circa duecento metri, prendere a destra una strada sterrata (percorribile anche da auto che non siano fuori strada), che costeggia il fiume Sarandaporos (secondo la denominazione greca) e che segna la frontiera grecoalbanese, affluente a sua volta (dopo poche centinaia di metri) del fiume Vojussa (in albanese Vjose), che diventa esso stesso limite di Stato. Dopo circa 800 metri sulla strada sterrata, si giunge ai resti della spalletta del ponte sul lato albanese, a dieci metri dalla strada medesima. I resti della spalletta sul lato greco sono raggiungibili, prima di entrare (sul lato greco) nell’area di frontiera costeggiando il fiume Sarandaporos: da essa si vede la spalletta albanese.
Secondo la storiografia greca, il ponte sul Sarandaporos (non vi è cenno alla denominazione di Perati) è uno dei tre ponti che hanno definito le “relazioni fra Grecia e Albania” (l’Italia non è citata), insieme a quelli sul fiume Aoos (ponte di Mesogefyra) e al ponte di Bourazani. I componenti del coro Malga Roma (presidente Camillo Grillo, direttore Antonio Mariani) e gli alpini della sezione Roma – e relativi famigliari – circa cinquanta persone in totale, sono giunti al ponte alle 13 circa. Giornata grigia e piovosa. Schieratosi sulla spalletta del ponte, il Coro ha cantato il Ponte di Perati. Un trombettiere ha poi suonato il Silenzio e infine abbiamo tutti intonato l’Inno di Mameli. La commozione mi ha fatto dimenticare la mia intenzione di leggere la Preghiera dell’Alpino.
Non vi sono parole per descrivere il momento. Tanti italiani, tanti alpini si sono recati al Ponte di Perati, soprattutto dopo il 1989. Ma sentire un nostro Coro cantare “Il Canto” sul posto è stato impressionante. Vedere tanti coristi con le lacrime agli occhi pure. Grazie al Coro per averci dato questo momento unico. Inutile commentarlo. Le parole non servono. Con il presidente della sezione di Roma ci siamo scambiati i gagliardetti. Ho illustrato i motivi della mia presenza sul posto, i miei contatti con il gen. Barbato e con l’Ambasciatore a Tirana. L’alpino ambasciatore Paolo Scarso (nella foto, a sinistra, qui sopra) ha fornito indicazioni storiche sulla presenza italiana in loco durante la guerra.
Gli alpini giunti da Roma e il coro hanno quindi apposto una propria targa in ricordo del pellegrinaggio. La targa apposta il 2 giugno 2006 dalla sezione di Modena in ricordo del col. Tavoni, M.O.V.M., non è più sul posto. È invece presente la targa apposta il 19 settembre 2005 dalla sezione di Verona. Dalla strada lungo la spalletta sul lato albanese, si intravedono i resti di alcune casematte. Impossibile dire se si tratti di resti risalenti alla seconda guerra mondiale o di opere difensive erette dal regime dopo il 1945.
Al ritorno dalla visita, ho contattato l’alpino ing. Edmondo Schmidt, che mi ha illustrato il tentativo suo e dei Volontari Seniores Professionali di erigere negli anni scorsi una chiesa commemorativa nell’area, tentativo non coronato da successo a causa della resistenza di ambienti locali. Spero che vi saranno ulteriori sviluppi dei tentativi degli alpini di ricordare i nostri Caduti nell’area. Chi avesse elementi utili è pregato di contattarmi.
Stefano Benazzo
stefano.benazzo@esteri.it