Alpini, andouma prou

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    Cinque reduci, Gino Gollo del 4º artiglieria, Attilio Badino e Leonardo Sassetti del Ceva, Giovanni Alutto del Borgo San Dalmazzo, Giuseppe Fornero del gruppo Mondovì e un cappello sopra a un cuscino. A Ceva, domenica 17 gennaio c’erano loro a ricordare quegli uomini che si immortalarono a Nowo Postojalowka il 20 gennaio di 73 anni fa. La Julia ha come obiettivo il villaggio di Kopanki alle porte di Nowo Postojalowka. I ripetuti attacchi non portano a nulla. Uomini esausti e disperati.

     

    In aiuto arriva la Cuneense. Parte all’attacco il battaglione Ceva sostenuto dalle batterie del Conegliano e del Mondovì. Un massacro sotto gli occhi del gen. Battisti. Gli alpini arretrano e i russi, abbandonate le loro postazioni, iniziano la caccia ai nostri alpini. La Tridentina è lontana impegnata nella conquista di Postojalyi. Ancora un attacco, il terzo delle Divisioni Julia e Cuneense. Il Mondovì perde il comandante magg. Mario Trovato sostituito dal cap. Lino Ponzinibio.

    Il Ceva è in difficoltà, ma resiste. Gli alpini si avventano disperatamente sui carri. Mancano ordini, disposizioni, ma si lotta strenuamente perché non c’è altra scelta. Il Mondovì è semidistrutto, il Conegliano falcidiato. Entrano nella battaglia anche il Saluzzo, il Borgo San Dalmazzo, il Val Po e il Pinerolo. Ma a dar man forte ai russi arrivano nuovi mortai, cannoni, mitragliatrici e due aerei. È un massacro. Non resta che ritirarsi.

    Le trentasei ore più cruente per un martirio che molti libri di storia, misteriosamente, ignoreranno e continuano a ignorare. E non sarà l’ultimo per la Cuneense e neppure per la Julia, tuttavia la storia ricorderà che grazie al loro sacrificio, si alleggerì la pressione sulla Tridentina impegnata a raggiungere e a sfondare la resistenza russa nella ben più nota Nikolajewka solo sette giorni dopo.

    Questo è ciò che hanno vissuto quei reduci, che seppur infreddoliti nel gennaio cebano, non hanno voluto mancare, domenica 17 all’annuale ricordo. Ed è con loro anche il cappello del tenente Giuseppe Navone, l’autore dell’inno del Ceva, “Andouma prou”, portato lungo tutto il percorso da mani premurose su di un cuscino da cerimonia, a simboleggiare idealmente tutti i Caduti. Numerosissima la partecipazione: il corteo che si snodava per le vie di Ceva era veramente lungo, ricco di vessilli, quasi quaranta e di circa duecento gagliardetti. Oltre duemila persone.

    Ritrovo nella Piazza d’Armi di fronte alla storica caserma Galliano, ora a disposizione del Corpo Forestale ma che fino alla chiusura, nel 1973 ospitò il Bar della Cadore con la compagnia Pieve di Cadore. La fanfara di Ceva accompagna l’ingresso nello schieramento del Labaro scortato dal Presidente Favero e dal gen. Panizzi e dopo gli onori ai Caduti sui due monumenti della piazza, ha inizio la cerimonia.

    Segue il corteo aperto dalle autorità, dai vessilli delle Sezioni di Mondovì, Cuneo e Saluzzo, che si alternano annualmente nella organizzazione della manifestazione, dagli alpini, dai reduci e dai due ultimi striscioni commemorativi che il protocollo relega purtroppo sempre nelle retrovie della sfilata. Tappa nella piazza del municipio dove sono seguiti i discorsi del sindaco alpino di Ceva Vizio, del Presidente della provincia di Cuneo Borgna, del Presidente della locale Sezione Raviolo e del Presidente Sebastiano Favero.

    Poche centinaia di metri ancora e poi tutti nel Duomo per la Messa officiata dal cappellano del 2º Alpini don Umberto Borello, in una chiesa piena come non mai, con i reduci nella seconda fila circondati dai bimbi delle scuole. Una quinta fotografica dove i bimbi con i loro visi giovani e freschi, davano ancor più profondità ai volti scavati dei sopravvissuti di Nowo Postojalowka.

    Dario Balbo