APPROFONDIMENTI La battaglia di Vittorio Veneto Novanta anni fa tra lutti e gioie fior la pace 24 ottobre 4 novembre 1918

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2013

Terminata con successo la Battaglia del Piave o del Solstizio nel giugno del 1918, il generale Foch, comandante supremo degli eserciti alleati, invitava il generale Diaz ad effettuare la prevista offensiva sull’ Altopiano di Asiago. Ma il generale Diaz, tenendo conto delle gravi perdite subite, dell’efficienza dell’organizzazione difensiva avversaria e dell’asprezza del terreno, rimaneva nella convinzione che si doveva evitare di passare, almeno per il momento, ad una controffensiva per la quale non disponeva né di una adeguata superiorità di forze e di mezzi, né di favorevoli condizioni tattiche e strategiche.

Il generale Diaz, dopo aver resistito alle pressioni alleate, in previsione di un possibile nuovo sforzo avversario, dava ordini ai Comandi di Armata di migliorare la consistenza dei settori più sensibili del fronte e di effettuare alcune rettifiche sull’Altopiano di Asiago, sul Monte Grappa e nel basso Piave nel settore della 3ª Armata, intese a ristabilire la situazione precedente all’attacco austro ungarico del 15 giugno.

Combattimenti che si conclusero con successo sull’Altopiano di Asiago e sul basso Piave ma non sul Monte Grappa dove, le nostre unità, per l’accanita resistenza dell’avversario, non riuscirono a riconquistare le posizioni perdute in giugno. Nel frattempo, dalla metà di luglio, il Comando Supremo tedesco aveva perduto l’iniziativa sul teatro di guerra francese e le offensive delle armate alleate costringevano l’esercito tedesco ad effettuare continue ritirate. Anche nei Balcani, a metà settembre, l’ Armata d’Oriente , della quale faceva parte la 35ª Divisione italiana, sconfiggeva l’esercito bulgaro e ad Elbasan si congiungeva con i reparti italiani dell’Albania (7 ottobre).

Vista la situazione favorevole scaturita in seguito agli insuccessi degli eserciti austro tedeschi in Francia e nei Balcani, il Comando Supremo italiano, anche su sollecitazione del Presidente del Consiglio, onorevole Orlando e degli Alleati, decideva di preparare una grande offensiva per sconfiggere definitivamente l’Austria sul campo di battaglia.

Il 26 settembre, ad Abano, il generale Diaz approvava il piano offensivo elaborato dal generale Badoglio e dal generale Caviglia, che in precedenza era stato preparato dal capo ufficio operazioni del Comando Supremo, colonnello Ugo Cavallero. Il piano prevedeva di sfondare il fronte in corrispondenza della linea di sutura delle due armate austriache 5ª e 6ª Armata schierate sul Piave con l’intenzione di separare le forze del settore Trentino da quelle schierate sulla riva sinistra del Piave, agendo a cavaliere della direttrice Conegliano Vittorio Veneto Belluno.

Effettuato lo sfondamento e separate le due Armate nemiche, le unità italiane, puntando su Feltre, dovevano aggirare le forze austriache schierate sul Grappa e quindi operare lungo la Valsugana in direzione di Trento e verso Belluno. L’offensiva avrebbe dovuto iniziare il giorno 16 ottobre, ma la piena del Piave provocata dal maltempo, ne fece spostare la data al 24 ottobre, anniversario dell’offensiva austro tedesca di Caporetto. Della prossima offensiva italiana ne venne a conoscenza anche lo Stato Maggiore dell’Esercito austriaco che organizzò per tempo le prime linee e le retrovie per fermare l’imminente attacco dell’esercito italiano.

Le forze in campo

Per realizzare il disegno di manovra le forze italiane furono così articolate dallo Stelvio al mare:

  • 7ª Armata su quattro divisioni con compiti difensivi, ma pronta a sfruttare situazioni favorevoli; il settore dell’ Armata andava dallo Stelvio sino alla sponda occidentale del Garda;
  • 1ª Armata (del Trentino) dal Lago di Garda alla Val d’Astico su cinque divisioni rinforzate dal 4º Gruppo Alpini; con compiti difensivi sino alla conquista di Vittorio Veneto;
  • 6ª Armata, schierata sull’Altopiano di Asiago, su otto divisioni di cui 1 britannica e 1 francese con il compito di concorrere all’azione della 4ª Armata e, in un secondo tempo, ricacciare gli austriaci dall’Altopiano;
  • 4ª Armata (del Grappa), dalla Val Brenta al Monte Pallone, su nove divisioni con il compito di attaccare lungo il solco Val Cismón Arten Feltre, determinando la separazione delle forze austriache del Trentino da quelle del Piave;
  • 12ª Armata, dal Monte Pallone al Ponte di Vidor, su quattro divisioni di cui una francese con obiettivo le alture a nord di Quero Valdobbiadene;
  • 8ª Armata (del Montello), da Vidor al Ponte della Priula, su sedici divisioni, delle quali due di cavalleria, con il compito di spezzare il fronte fra le due Armate austriache 5ª e 6ª e puntare a nord verso Vittorio Veneto;
  • 10ª Armata, dal Ponte della Priula al Ponte di Piave, su due divisioni italiane e due inglesi agli ordini del generale lord Cavan, con il compito di costituire una testa di ponte nella zona delle Grave di Papadopoli e successivamente avanzare sino al fiume Livenza;
  • 3ª Armata, dal Ponte di Piave al mare, su cinque divisioni con il compito di forzare il Piave e proseguire il movimento fino al fiume Livenza assecondando con il fuoco l’azione della 10ª Armata.

La riserva del Comando Supremo era costituita dalla 9ª Armata su quattro divisioni di fanteria (di cui una cecoslovacca), un Corpo d’Armata di cavalleria (su due divisioni, la 2ª e la 3ª) e un Reggimento di fanteria americano. Alla vigilia della battaglia l’aviazione, allora giovane specialità dell’esercito, era pronta ad intervenire con 650 aerei, 36 sezioni aerostatiche e 7 dirigibili, con possibilità di attaccare obiettivi tattici e strategici. Consistente fu il contributo di appoggio dato dagli aerei all’azione delle truppe. L’esercito italiano disponeva in totale di 57 divisioni di cui 6 alleate (3 inglesi, 2 francesi e 1 cecoslovacca) per complessivi 704 battaglioni (dei quali 564 di fanteria, 61 di alpini, 59 di bersaglieri, 6 di granatieri, 14 battaglioni d’assalto).

Gli italiani avevano una superiorità nell’artiglieria: 7.750 pezzi contro 6.800 e nell’aviazione 650 aerei contro 450 austriaci. Il comando supremo italiano era dislocato ad Abano, nei pressi di Padova, quello austro ungarico a Baden, vicino a Vienna, molto lontano dal teatro di operazioni. Al momento della battaglia finale le forze contrapposte erano costituite da due gruppi di armate denominate Gruppo Armate del Trentino (comandante generale arciduca Giuseppe d’Asburgo che aveva sostituito il generale Conrad il 15 luglio) costituito dalla 10ª Armata (8 divisioni) dallo Stelvio all’Astico e dalla 11ª Armata (su 14 divisioni) dall’Astico al fiume Cismon e Gruppo di Armate Boroevic ( comandante F.M. Boroevic) dal Brenta al mare costituito dal Raggruppamento Belluno su 12 divisioni schierate dal Brenta a Fener, dalla 6ª Armata, su 9 divisioni, da Fener alle Grave di Papadopoli incluse, dalla 5ª Armata o Armata dell’Isonzo , su 15 divisioni, dalle Grave di Papadopoli escluse, al mare.

La riserva del Comando Supremo austro ungarico era costituita da 5 divisioni. Complessivamente gli austriaci disponevano di 63 divisioni delle quali 57 di fanteria e 6 di cavalleria appiedate. La forza aerea poteva contare su 450 velivoli. La sistemazione difensiva nemica era molto robusta e in certi tratti del fronte formidabile, specie nella regione del Grappa, dove il terreno consentiva di esaltare la difesa attiva.

Inizio della battaglia.

La battaglia ebbe inizio alle ore tre della notte del 24 ottobre con un violentissimo fuoco di preparazione contro tutte le posizioni austriache; nel contempo, nella notte fra il 23 e 24 ottobre, reparti della 7ª Divisione del generale inglese Lambert Conte di Cavan, nonostante la furia delle acque del Piave, utilizzando barconi del genio, con azione di sorpresa conquistarono l’isola della Grave di Papadopoli, un formazione ghiaiosa lunga circa otto chilometri e larga due chilometri, che era la più grande di un gruppo di isolotti formati da alcuni rami minori del fiume.

Subito dopo la costituzione della testa di ponte, unità della 4ª Armata del Grappa scattarono all’assalto contro le posizioni austriache del Monte Asolone, Cima Pertica, Col della Berretta, Monte Valdeora, Monte Solarolo, Monte Spinoncia dove, dopo numerosi violenti combattimenti, vennero raggiunti apprezzabili risultati nonostante la tenace resistenza ed i ripetuti contrassalti del valoroso avversario. Il Monte Asolone, il Solarolo e il Valderoa furono più volte conquistati e perduti. In tre giorni di accaniti combattimenti l’Armata del Grappa, sebbene non avesse conseguito il pieno successo, costrinse gli austriaci ad impiegare e logorare le loro riserve a tutto vantaggio del settore di pianura da dove doveva avvenire lo sfondamento decisivo.

Sull’Altopiano dei Sette Comuni, nel frattempo, unità della 6ª Armata, per mascherare i preparativi della vera offensiva, lanciavano un attacco notturno verso il Monte Sisemol. Nel basso Piave, a causa delle piogge cadute su tutto il settore del fronte orientale, fu necessario rinviare il passaggio del fiume alla sera del 26 ottobre. A causa delle piogge persistenti, che impedivano il gittamento dei pontoni, l’Armata del Grappa dovette sostenere da sola tutto il peso dell’offensiva; essa costituì la chiave di volta per il conseguimento della manovra strategica finale. Nella notte del 26 ottobre i reparti del genio della 12ª, 8ª e 10ª Armata, nonostante l’impeto del fiume, che ostacolava gli ancoraggi delle barche, iniziarono il gittamento dei ponti di barche per passare sulla sponda opposta nel tratto di fiume compreso fra Pederobba e Ponte di Piave.

L’operazione, già di per sé difficoltosa a causa delle non buone condizioni del Piave, fu inoltre caparbiamente ostacolata dal fuoco violentissimo delle artiglierie nemiche, specie nel settore dell’8ª Armata, che riusciva a costruire appena due ponti dei sette previsti: alcuni traghetti quasi ultimati vennero più volte colpiti e distrutti dalle granate dell’artiglieria austriaca. Nonostante la furiosa reazione dell’avversario, nella notte del 27 ottobre furono costituite tre teste di ponte: la prima nel settore della 12a Armata in corrispondenza di Valdobbiadene con due battaglioni alpini e un reggimento francese; la seconda nel settore dell’8ª Armata nella piana di Sernaglia Falzè con la 57ª e la 1a Divisione d’Assalto e con la Brigata Cuneo ; la terza nel settore della 10a Armata nella zona tra Tezze e Cimadolmo con unità del XIV Corpo d’Armata britannico e della 37a Divisione. Vista la critica situazione creatasi sul basso Piave, il maresciallo Boroevic inviò due divisioni di riserva strategica alla 6ª Armata al fine di eliminare le teste di ponte italiane realizzate sulla sinistra del fiume.

Le truppe dell’8ª Armata che si erano spinte sino a Soligo vennero a trovarsi, a seguito della distruzione dei ponti sul fiume, in una situazione di pericolo perché completamente isolate dal resto dell’armata. Di fronte a quella minaccia il generale Caviglia, comandante dell’8ª Armata, di sua iniziativa diede ordine al XVIII Corpo d’Armata di passare il fiume sui ponti di barche della 10ª Armata a Palazzón (schierata alla sua destra) e subito dopo puntare su Conegliano. Fu la mossa vincente. L’attacco riprese slancio su tutto il fronte del Piave. Superata la crisi dell’ attraversamento del fiume, nella notte del 29 le teste di ponte oltre il Piave si saldarono costituendo un unico ampio saliente nel settore difeso dal nemico. Il 29 ottobre le unità dell’8a Armata avanzarono su tutto il fronte dell’Armata travolgendo tutte le resistenze nemiche raggiungendo l’obiettivo primario.

La 12ª Armata con reparti del I Raggruppamento Alpini e della 23ª Divisione francese iniziarono il movimento verso est conquistando, dopo aspri combattimenti, Monte Perlo Monte Pianar e Alano di Piave. Fra i molti atti di eroismo vissuti dalle varie Armi dell’esercito italiano durante la Battaglia di Vittorio Veneto, merita particolare riconoscimento l’opera svolta dall’Arma del Genio, impegnata nel gittamento dei ponti di barche sul Piave.

Gli eroici genieri diedero un importante contributo per l’esito finale dell’offensiva. Violentemente battuti dal tiro delle artiglierie nemiche, gli infaticabili genieri, al prezzo di molti sacrifici, lottando di giorno e di notte contro la furia delle acque, gettarono numerosi ponti per il passaggio delle nostre unità sulla riva sinistra del Piave. Nel pomeriggio del 30 ottobre, la 6ª Armata austro ungarica, dissanguata e sfinita dai violenti combattimenti dei giorni precedenti, ripiegava sulla seconda posizione di difesa in corrispondenza del fiume Monticano, incalzata dall’avanguardia della 10ª Armata.

Sotto la spinta offensiva delle tre armate (12ª, 8ª e 10ª) anche la seconda posizione difensiva iniziò a sbriciolarsi. Iniziarono i primi ammutinamenti fra le truppe ungheresi desiderose di raggiungere la propria casa. Mentre l’offensiva era in pieno sviluppo, l’Imperatore Carlo I, in presenza di una situazione ormai insostenibile, il 26 ottobre, con un telegramma diretto al Kaiser, esprimeva inequivocabilmente l’intenzione dell’Austria di richiedere e concludere un armistizio con l’Italia alfine di evitare la distruzione dell’Esercito e, il 29 ottobre, con l’esercito in ritirata e l’impero in pieno disfacimento, l’Imperatore Carlo I chiedeva all’Italia un armistizio.

All’alba del 29 si presentava ai nostri avamposti di Serravalle, in Val Lagarina, il capitano di Stato Maggiore Camillo Ruggera, con una lettera del generale Weber da consegnare al Comando Supremo italiano, con la richiesta di iniziare le trattative per un immediato armistizio. Il mattino del 30 ottobre le divisioni dell’esercito italiano iniziarono una avanzata generale dallo Stelvio al mare per sfruttare il successo ottenuto, incalzando il nemico in rotta. Nella mattinata del 30 ottobre avanguardie di cavalleggeri e bersaglieri ciclisti dell’8ª Armata occuparono Vittorio Veneto spezzando in due l’esercito nemico. Nello stesso giorno anche la 3ª Armata del Duca d’Aosta, che comprendeva anche il 332º Reggimento americano, dopo aver forzato il Piave a San Donà, entrò in azione con obiettivo Motta di Livenza, facendo decine di migliaia di prigionieri. Iniziava anche per l’esercito imperiale austro ungarico una disfatta di proporzioni molto superiori a quella di Caporetto, ma questa volta in modo irreversibile.

Il giorno 31 ottobre segnò il crollo delle armate austro ungariche presenti in Italia; le truppe ungheresi e serbo croate si rifiutarono di combattere ritirandosi di loro iniziativa verso la loro terra. Nel pomeriggio del 1 novembre veniva liberata Belluno, il 2 cadevano in nostre mani Udine e Rovereto, il 3 novembre unità della 7ª Armata raggiungevano Malé in Val di Sole, mentre nelle prime ore del pomeriggio, unità della 1a Armata (i cavalleggeri di Alessandria, gli alpini del IV Gruppo e il XXIX reparto d’assalto) entravano in Trento.

Quasi alla stessa ora i cacciatorpediniere Audace , Fabrizi , Missori e La Masa , sbarcavano a Trieste due battaglioni di bersaglieri e una compagnia della marina militare accolti dall’entusiasmo di migliaia di cittadini. Sul castello di San Giusto e sulla torre del Municipio venne issato il tricolore. Alle ore 18 dello stesso giorno a Villa Giusti, presso Padova, venne firmato l’armistizio che fissava la fine delle ostilità per le ore 15.00 del 4 novembre.

Il 4 novembre il generale Diaz diramava alle sue truppe e alla nazione il bollettino di guerra n. 1268 che con raffinata eloquenza annunciava la vittoria dell’esercito italiano e della fede e tenacia di tutto il popolo italiano: La guerra contro l’Austria Ungheria, che sotto l’alta guida di S.M. il Re, Duce Supremo, l’esercito italiano inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta. L’esercito austro ungarico è annientato; esso ha subito perdite gravissime nell’accanita resistenza dei primi giorni e nell’inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta . Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinquemila cannoni. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.

Armando Diaz

Considerazioni.

Il nostro mancato intervento nel 1914 a fianco degli Imperi Centrali che avevano scatenato una guerra di aggressione fu determinante per il successo finale della coalizione dell’Intesa. Le battaglie del Solstizio e di Vittorio Veneto crearono le premesse per la fine anticipata del lungo e sanguinoso conflitto mondiale evitando all’Italia e ai paesi dell’Intesa altri enormi sacrifici e la perdita di tante vite preziose. Senza la vittoria italiana, gli Imperi Centrali avrebbero potuto resistere almeno sino alla primavera del 1919, come avevano previsto i Governi delle Potenze dell’Intesa.

Una settimana dopo l’ armistizio di Villa Giusti, l’11 novembre 1918, l’armistizio fra gli alleati dell’Intesa e la Germania pose fine al sanguinoso conflitto mondiale. Le conseguenze della Prima Guerra Mondiale su vinti e vincitori ebbero la portata di un terremoto e provocarono la distruzione dell’equilibrio fra le potenze europee, equilibrio che era stato costruito durante molti secoli: nel giro di quattro anni decaddero quattro monarchie, quella di Austria Ungheria, di Russia, di Germania e di Turchia. La vittoria conseguita al prezzo di grandissimi sacrifici ci permise di completare l’unificazione del suolo patrio e l’unità politica della Nazione, essa rappresentò il culmine di oltre un secolo di lotte risorgimentali perseguite tenacemente da una folta schiera di martiri e patrioti che credevano in un’Italia unita, indipendente e libera dalla secolare egemonia di molte potenze straniere.

Ricordo e significato del 4 Novembre 1918

La rievocazione della Battaglia di Vittorio Veneto mi offre lo spunto per ricordare, soprattutto alle giovani generazioni, quale fu l’importanza storica, politica e militare della Grande Guerra e della sua vittoriosa conclusione il 4 novembre 1918. Mi sembra doveroso che gli italiani ricordino con cerimonie la giornata del 4 novembre e attestino sincera gratitudine e riconoscenza verso quei valorosi Soldati della Prima Guerra Mondiale che, giustamente, possiamo considerare l’aristocrazia del valore, i quali risposero con slancio e grande generosità alla chiamata della Patria.

E’ giusto ricordare, custodire e far conoscere, soprattutto tra i giovani, quegli avvenimenti, quei sacrifici senza limiti, quelle sofferenze di quegli eroici Soldati con sentimenti di gratitudine, di grande rispetto e ammirazione. Uomini di ogni credo politico, di ogni ceto e condizione sociale, accorsero da tutte le parti d’Italia e dall’estero, uniti in solidarietà per servire in armi la Patria. Accomunati nel crogiuolo della trincea e della battaglia, con soldati di altri dialetti, di altri costumi, impararono a conoscersi e socializzare insieme al punto di chiamarsi fratelli.

Fanti, alpini, bersaglieri, granatieri, artiglieri, cavalieri, genieri, trasmettitori, finanzieri, carabinieri, soldati dei servizi logistici, dai ghiacciai dell’Adamello alle arse trincee del Carso, dal Monte Nero al Monte Ortigara, dal Pasubio al Monte Grappa, scrissero pagine di eroismo e di grande umanità. Non furono da meno i coraggiosi aviatori e marinai che, con le loro eroiche imprese, contribuirono in maniera determinante alla vittoria finale delle nostre armi. Dopo la tragica Battaglia di Caporetto, che nel giro di poche ore travolse il destino di migliaia di soldati e di oltre un milione di civili, il Regio Esercito e il paese ritrovarono insieme la forza e la volontà di resistere e combattere sul Piave. Sul Piave, fiume sacro alla Patria, i petti dei ragazzi del ’99 crearono un invalicabile baluardo per la salvezza e la resurrezione d’Italia.

Il loro impegno fu fondamentale, da loro iniziò la riscossa dopo la disfatta di Caporetto per ridare slancio ed entusiasmo ai soldati disanimati radicati sulle infuocate trincee del Piave e del Grappa. E, nell’ottobre del 1918, dal Monte Grappa iniziava quella offensiva vittoriosa che si concludeva con la definitiva sconfitta dell’Austria Ungheria. Pochi, all’inizio della guerra, erano consapevoli della tragedia che avrebbe colpito il nostro popolo oltre seicentocinquantamila caduti, un milione e mezzo di feriti, un’intera generazione di giovani falciata; migliaia di lutti di tante madri, spose, figli, infiniti sacrifici, sofferenze, distruzioni di ogni genere. Oggi possiamo misurare pienamente ciò che i quattro anni di quella guerra rappresentarono per il nostro popolo e per i popoli dell’Europa.

Milioni di uomini si ritrovarono a combattere nel fango delle trincee sotto una pioggia di ferro e di fuoco che provocò paurose carneficine specie tra le unità di fanteria. Dopo 41 mesi di guerra durissima il nostro popolo uscì da quella spaventosa tragedia certamente provato, ma vittorioso e, quel che più conta, finalmente unito e libero. Una vittoria costruita da una massa di umili contadini con il fucile in mano al posto della zappa, che lottò con fatica e in silenzio senza mai nulla chiedere, anche quando andavano a morire sulle alture del Carso, sui ghiacciai dell’Adamello, sul Pasubio, sull’Ortigara, sul Monte Grappa o sulle sponde del Piave in nome dell’Italia. Sono trascorsi ormai novantaquattro anni dall’inizio di quella immane tragedia, un evento che coinvolse milioni di uomini in ogni parte del pianeta, e che cambiò in modo definitivo il volto dell’Europa.

Durante quegli anni ormai lontani, ma sempre vivi nella nostra memoria, molti Soldati si resero protagonisti di innumerevoli episodi, semplici od eroici, grandi o piccoli per contribuire all’unità e libertà della nostra Patria. Ritengo, quindi, giusto e doveroso ricordare con gratitudine e onorare tutti quei valorosi Soldati, che senza odio ma con alto senso del dovere e sorretti dalla fede in Dio, spesero la loro giovane esistenza per l’Italia. Con lo stesso spirito ricordiamo e rendiamo onore ai valorosi e cavallereschi nostri avversari di allora, appartenenti ad uno dei più potenti eserciti del mondo, che con alto senso del dovere e dell’onore, lottarono con grande coraggio, spirito di sacrificio e fedeltà per la loro Patria.

Oggi siamo sempre più convinti che le guerre, tutte le guerre, sono da condannare e da evitare perché sono fonte di odi, povertà, devastazioni morali e materiali inaudite. La pace va costruita, difesa e mantenuta quotidianamente al di là dei Trattati, soprattutto con il nostro comportamento che deve essere improntato ad iniziative di solidarietà, sincera collaborazione e al dialogo reciproco. Se la nostra coscienza di cittadini avrà saputo raccogliere il senso di quel enorme sacrificio, di quelle nobili virtù, di quelle tensioni ideali, di quei dolori sofferti in nome dell’Italia che Loro ci hanno lasciato, e ricorderemo con religioso rispetto quelle eroiche vicende, allora quei Soldati continueranno a vivere nel nostro animo, nell’animo dei nostri figli e nel cuore della nostra comune madre, la Patria. Potremo dire allora che il sacrificio delle loro giovani vite non è stato vano ma ha prodotto fecondi e copiosi semi di pace.

Oggi, gli uomini e le donne delle nostre Forze Armate, nel solco tracciato dagli eroici Soldati di Vittorio Veneto, rinnovano le tradizioni di amor di Patria, spirito di sacrificio e abnegazione, operando con altissima professionalità e assoluta correttezza di comportamenti, spesso rischiando la vita, nelle numerose e complesse missioni nel mondo, a sostegno della sicurezza, della legalità, della ricostruzione e per rafforzare la pace. In questo importante anniversario ricordiamoli con affetto e riconoscenza perché, con lo stesso spirito dei ragazzi del Piave e del Monte Grappa, ogni giorno con grande umiltà e generosità, onorano la nostra Patria e la nostra Bandiera.

Il retaggio di quel immenso patrimonio di valori ideali e di virtù civiche di quegli eroici soldati, costituisca non solo per noi ma per tutti i popoli dell’Europa motivo di riflessione ed esperienza e sia un valido aiuto per costruire un futuro migliore, di pace, di libertà, di giustizia, di progresso, rispettoso della dignità di ogni uomo e di ciascun popolo. Che ogni nostra azione sia degna della loro memoria e del loro eroismo.

Tullio Vidulich