Conservare ma non indossare

    0
    435

    Sono riuscito a rintracciare quello che fu il mio comandante di plotone alla Scuola AUC di Lecce, anno 1959 e ho avuto la fortuna di condividere con lui la partecipazione alle ultime due rimpatriate del 23º Corso AUC, a Busseto e a Senigallia.

    Un giorno mi disse: “Mario, voglio un cappello alpino”. Certo, ho pensato, stava provando un sentimento del tutto particolare per gli alpini. Gli inviai per corriere un cappello alpino e il mio capitano subito mi rispose con una lettera veramente toccante, che qui trascrivo parzialmente e fedelmente: “Carissimo Mario, all’ora di pranzo, come accade in un film poliziesco, la sorpresa. Un corriere mi ha recapitato una scatola, la cui forma faceva presagire ciò che in cuore mio aspettavo. Ciò che conteneva non era un cappello, era un emblema, un distintivo, un segno di eccellenza che appartiene a uomini particolari, che nel tempo hanno dimostrato che in quella penna che portano con amore è racchiuso il senso intimo della vita. Ho sempre pensato ad una bussola, che ti indica il modo di governarsi nella vita, seguendo i canoni della rettitudine, generosità, mutualità verso chi vive nella precarietà. Gli alpini rappresentano questo, condiviso da tutti gli italiani. La mia gioia è stata condivisa da mia moglie, giacché non prevedeva questa sorpresa. Questo fatto, così importante per me, mi lusinga e in prospettiva mi fa pensare, se Dio vuole, alla prossima riunione in quel di Trieste. Ancora grazie e fortemente ti abbraccio. Saverio”.

    Mario Bruno – gruppo di Barge, sezione Saluzzo

    Va da sé che i cappelli alpini, quando si regalano, non hanno lo scopo di finire sul capo di chi non è alpino, ma quello di essere conservati come simboli di una grande storia culturale e umana, che si condivide nell’animo, rispettandoli e conservandoli come preziosi segni di amicizia.