“Dare un po’ di gioia a chi non l’ha”

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    Nei Paesi cristiani, specie in Italia, li chiamarono direttori di spirito, poi preti al campo e infine, cappellani militari. Padre Generoso da Pontedecimo era uno di loro. Beffardo il destino che nel 1934 indica “rivedibile per debole costituzione” quel chierico, frate cappuccino, con il naso sottile e aguzzo a sostenere piccoli occhialetti tondi.

     

    L’anno successivo la riconferma: Attilio Ghiglione, così all’anagrafe, è esentato dalla prestazione del servizio militare salvo in caso di mobilitazione quale chierico con voti. E la mobilitazione arriverà, eccome! Nel giugno del 1940 è sul fronte occidentale con il battaglione alpini Valle Arroscia nella zona dell’Alta Vesubie, al confine con la Francia. È proprio da qui che ha inizio la sua meravigliosa collezione di scatti, riservata alle alpi occidentali, maestose e innevate. Nei Paesi cristiani, specie in Italia, li chiamarono direttori di spirito, poi preti al campo e infine, cappellani militari. Padre Generoso da Pontedecimo era uno di loro.

    Beffardo il destino che nel 1934 indica “rivedibile per debole costituzione” quel chierico, frate cappuccino, con il naso sottile e aguzzo a sostenere piccoli occhialetti tondi. L’anno successivo la riconferma: Attilio Ghiglione, così all’anagrafe, è esentato dalla prestazione del servizio militare salvo in caso di mobilitazione quale chierico con voti. E la mobilitazione arriverà, eccome! Nel giugno del 1940 è sul fronte occidentale con il battaglione alpini Valle Arroscia nella zona dell’Alta Vesubie, al confine con la Francia. È proprio da qui che ha inizio la sua meravigliosa collezione di scatti, riservata alle alpi occidentali, maestose e innevate. dopo il blu del mare, lo sguardo degli alpini affonda in un paesaggio desolato, così lo descrive padre Generoso nel suo diario: “Paludi, paludi, paludi chiazzate da ciuffi d’erba. La zona è deserta: poche baracche di legno”. Una volta atterrati è notte: “Trovo un posto in una tenda con sei alpini: fa freddo e il terreno è umido.

    Per cena una pagnotta e mezza scatoletta di carne. S’inizia un periodo di cinghia…”. Le giornate di un cappellano militare sono scandite dalle celebrazioni, dalla recita del Rosario, dalle Litanie alla Madonna. Boccate di ossigeno prima dei compiti che riserva la guerra: soccorrere i feriti, accompagnare quelli gravi nel Regno dei Cieli, seppellirli. Padre Generoso è cappellano sul fronte greco albanese con il battaglione Gemona, rientra nel marzo del ’41, ma ritornerà subito dopo in quel paese per obbedire alla pietà: la misericordia chiedeva proprio a lui di recuperare quei corpi abbandonati tra le aspre montagne d’Albania e ricondurli in Patria. Erano morti il giorno di Natale o a primavera. Lontani da casa.

    Il destino aveva riservato al frate ligure un’altra prova, che non sarà l’ultima: la guerra di Russia. La partenza nell’agosto del 1942. Anche in queste pagine di diario il rosso vivo legato alla speranza, giorno dopo giorno attenua i suoi toni, fino a divenire grigio, infine nero. Il viaggio conduce i soldati attraverso “panorami stupendi di valli, di torrenti… casette pulite, circondate e ornate di fiori”. Poi giù dal treno, inizia la marcia, “la meta è raggiunta: oltre 300 km sono stati fatti con l’autoscarpa: consuetudine alpina”. E raggiunta la linea, si scavano trincee, camminamenti, ripari.

    La Messa segna l’inizio di un nuovo giorno. Nel diario sono annotati uno per uno, i nomi di tutti i suoi alpini, di quelli che ricevono l’Eucarestia, dei cristiani recuperati dopo lunghe discussioni perché in un posto come quello è difficile trovare traccia di Dio. 25 dicembre 1942. “È Natale. La festa del cuore e della famiglia. Una dolce visione affiora dall’animo e lo intenerisce: la nostra casa, i nostri Cari… è tutto un mondo di ricordi, di gaudio e di lacrime. Per un istante tacciono i dolori che gridano dal profondo di tanti cuori e lo spirito s’inebria della luce e della gioia di chi è assorto. Sono attimi che fuggono veloci. Una trincea, un’arma, un ordine: la mitragliatrice canta e falcia… È il ritorno alla realtà della vita, alla guerra”. Il 19 marzo 1943 padre Generoso rientra in Italia.

    Partecipa alla guerra di Resistenza nella brigata Osoppo, formazione di matrice cattolica. Poi, dal 1945, si dedicherà, per i pochi anni che gli resteranno da vivere, alle anime della sua comunità. Lui, il frate dalle mani d’oro proprio per la sua rara capacità a smontare, riparare e ricostruire, lui riflessivo e ancora allegro, dal sorriso giocoso a cavallo del suo Guzzino, lui giovane frate il cui aspetto la guerra aveva invecchiato senza riguardo, morì il 26 novembre 1962 a causa dei tormenti che il suo fisico aveva vissuto sui vari fronti. Questo tesoro di testimonianze e ricordi tracciati con minuzia di particolari umani non poteva, non doveva andare perduto. Ci hanno pensato gli alpini di Pontedecimo, sezione di Genova, a 50 anni dalla sua morte e a 100 dalla nascita.

    L’incarico è toccato all’alpino Giancarlo Militello che ha contestualizzato lo scritto di padre Generoso e lo ha reso libro. Quando ne parla, si comprende come abbia imparato, pagina dopo pagina, ad amare questo frate cappuccino, come ne abbia conosciuto la personalità e l’opera pur senza averlo mai incontrato. Dono potentissimo la comunione delle anime. Essa rivela ad ogni lettore che don Attilio Ghiglione generoso seppe esserlo davvero. La sua eredità è nei suoi scritti, nel ricordo tracciato in questo libro. Una personalità eclettica, a tratti severa, sempre franca. Capace di materializzarsi davanti ai nostri occhi alla lettura della frase, trovata postuma tra i suoi appunti: “…dare un po’ di gioia a chi ne ha meno di me…”. È questo ciò che chiese a Dio e che Dio gli concesse di fare. Dapprima in guerra, poi in pace.

    Mariolina Cattaneo