Eroi di un tempo

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    Come spesso accade nell’arco dell’anno alcune manifestazioni programmate da noi alpini o da altre associazioni si sovrappongono, e questo comporta sempre il classico disagio di dover scegliere a quale portare la nostra presenza. Questa volta ci siamo trovati con disponibilità maggiore di alpini e pertanto alcuni hanno partecipato alla cerimonia del Gruppo di Vajont e altri, compreso il sottoscritto, hanno partecipato alla cerimonia al tempio di Cargnacco per il rientro di undici urne di soldati ignoti provenienti dalla Russia.

    È stata una cerimonia toccante e molto bene organizzata, lo sguardo si posava sui numerosi gonfaloni, vessilli dei combattenti e reduci, labari di associazioni e numerosissimi gagliardetti che facevano da corona a quei poveri resti schierati al centro del piazzale antistante il tempio; come se volessero proteggere quelle reliquie umane cariche di storia e di dolore per vite giovani date alla Patria. La fanfara della brigata Julia ha accompagnato la cerimonia con i vari inni di rito e con un mesto e sommesso rintocco del solo tamburo per dare la cadenza ai soldati che hanno portato le urne all’interno del tempio per la Messa e successiva tumulazione nella cripta sottostante. Il silenzio era totale nonostante il piazzale fosse gremito di persone e più di qualche guancia era rigata dalle lacrime. In chiesa, con mia grande ma compiaciuta sorpresa, ho notato che al primo banco, proprio di fronte alle urne, hanno preso posto i pochi reduci ormai rimasti, subito dopo tutte le altre autorità, generali, colonnelli, presidenti di associazioni, sindaci e politici. Fin qui tutto bene dirà chi legge, e dov’è allora la nota dolente? C’erano anche alcuni militari che non avevano armi, molto probabilmente erano addetti al trasporto delle urne, giovani che hanno attirato la mia attenzione: il più vecchio di loro poteva avere si e no venticinque anni, ma su alcuni di essi il petto era costellato di medaglie e di una serie di nastrini dallo spessore di cinque o sei centimetri. Mi sono soffermato vicino a loro e ho contato sul petto di un primo caporale tre medaglie e sei file di nastrini sovrapposti, un altro primo caporale di medaglie ne aveva quattro e sempre l’impressionante fila di nastrini. È mai possibile dare queste importanti onorificenze a un giovane che ha sì partecipato ad alcune missioni all’estero, ben equipaggiato e anche molto ben pagato tra l’altro, ma il cui compito forse era solo quello di dare ai superiori il numero di presenze effettive su cui si poteva contare e quanti invece erano ricoverati in infermeria. Come stridevano e stonavano quelle medaglie sul petto di questi soldati vicino alle urne spoglie di quei poveri resti, giovani che hanno combattuto in vari fronti per anni, ripeto, combattuto per anni con tremende privazioni e senz’altro alcuni di loro si sono immolati con veri atti di eroismo. I vari ministri della Difesa e i vari capi di Stato Maggiore che si sono susseguiti fino ad oggi non hanno mai notato che questo porta al ridicolo e alle battute feroci con tutto questo tintinnio di medaglie e luccichio (se mi si passa il termine) di nastrini, non hanno mai pensato di dare a costoro un’onorificenza più sobria, meno appariscente, in modo da non destare ilarità in chi li guarda? Dare una medaglia è una cosa importante, un atto di eroismo, militare o civile che sia, un riconoscimento che funge da esempio da imitare, darle così a manciate svilisce tutto e, come detto, anziché destare ammirazione e rispetto fa solo ridere.

    Edoardo Pezzutti Gruppo di Fontanafredda, Sezione di Pordenone

    La tua lettera, caro Edoardo, mi ricorda quel vescovo che, per ingraziarsi i preti li faceva tutti monsignori. Non solo finì per buttare in vacca il titolo, ma perse anche la stima dei suoi preti. Sono gli uomini che fanno grandi le medaglie e non viceversa. Detto questo, per rispetto dei giovani soldati caduti, va detto che i nastrini sono il segno della partecipazione alle missioni nazionali e all’estero. Cosa diversa dalle medaglie al valore.