Fratelli… al fronte

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    «Mio padre, Francesco Anelli, professore di liceo, umanista e saggista, volontario nella Grande Guerra nell’arma dei Bombardieri, classe 1898, fiero di avere in me un figlio ufficiale di Artiglieria da Montagna (63º Corso Auc, 1971/1972), mi affidò prima di morire, tutto quello che atteneva al “pensiero militare” e la fitta corrispondenza, dal dopoguerra agli anni ’80, con i compagni d’arme. Persone semplici ma di elevato senso civile e militare.

     

    Uno di questi fu Enrico Jahier che nel 1961, nel 45º anniversario della conquista delle Tofane, ricompose a memoria la “Marcia Alpina delle Tofane” di autore ignoto, che fu pezzo forte della fanfara del battaglione Monte Antelao, 7º Alpini.

    Enrico era fratello del più noto Piero Jahier, entrambi ufficiali degli alpini combattenti nella Grande Guerra, entrambi cultori della “coristica” militare». La lettera dell’artigliere da montagna Marco Anelli, ci offre lo spunto per una riflessione su un altro triste risvolto che accomuna tutte le guerre. I grandi conflitti, infatti, decisero il destino di molte famiglie. Oltre al dolore per la lontananza, madri e padri dovettero spesso affrontare quel vuoto mai quietato che solo la morte di un figlio lascia.

    Lo sguardo rivolto a una porta, a una strada, a un orizzonte incapace di restituire l’inconfondibile figura tanto cara, mai dimenticata. Capitò che una sola famiglia vide partire insieme o in momenti diversi tutti i figli: giovani robusti, un tempo bimbi barcollanti nell’incedere, bisognosi di tutto, ora andavano alla guerra, spesso in località diverse, fino ad allora sconosciute. Successe ai fratelli Bonaldi, Gian Maria la Ecia che il destino riportò “a baita” e che nella prefazione del suo “Ragù”, pietra d’angolo nella letteratura alpina, scriveva: «Dedico questo mucchietto di carta stampata alla memoria di mio fratello Antonio rimasto sui reticolati del Rombon, coi suoi Alpini del battaglione Bicocca e a tutti gli Scarponi che ho conosciuti, in contraccambio del bene grande che mi hanno voluto, bene sempre cordiale e fraterno…».

    La stessa fine, invece, toccò ai fratelli Eugenio e Giuseppe (Pinotto) Garrone, Medaglie d’Oro al Valor Militare. Il Comando Supremo infatti emanò nel 1917 una circolare secondo la quale due fratelli al fronte potevano essere riuniti nello stesso reparto. «Cara Mamma, cari tutti, vi mando il mio bacio. Sono ferito ai polmoni ma non gravemente. State tranquilli. Pinotto è caduto nelle mie braccia: pregate il Signore che ci dia la forza di sopportare il nostro dolore. Tu, mamma, trova nel dolore di tante altre mamme conforto e calma.

    Tornerà uno solo dei due; il tuo Eugenio sarà per te di Lui che non è più. Ho un pensiero per tutti, da Papà a Edoardo. Baci a tutti. Vogliatemi bene per due, per il nostro Pinotto anche». Ma le ferite riportate nel fatto d’armi che vide cadere il fratello, condurranno alla morte anche Eugenio, nemmeno un mese più tardi, il 7 gennaio 1918. Storie tristi raccontate dalla fredda scrittura di atti e lettere protocollate. Esseri umani la cui esistenza si perdeva e al tempo stesso si identificava, con un reparto, un battaglione; veniva meno allora l’animo del singolo, l’esclusività di ognuno, la storia dell’individuo con i suoi tratti, i timori, le virtù.

    Questi uomini tuttavia, hanno lasciato tracce ripercorribili che ci permettono di attualizzare le loro esistenze collocandole in uno spazio al di fuori del tempo. Esistenze a cui tutti noi possiamo ricongiungerci. Come i celebri fratelli Calvi, allegoria d’eccezionale valore. E i fratelli Timeus, Ruggero e Renato, triestini di nascita. Il primo arruolato nel battaglione Tolmezzo morì il 14 settembre 1915 sul Pal Piccolo. Fu allora che Renato chiese ed ottenne di prendere il comando del plotone che era del fratello. E combatté tutta la guerra e oltre, con D’Annunzio a Fiume.

    Poi tornato alla vita civile, divenne persona nota, avvocato di fama. Ma quel fratello perduto al fronte gli rimase accanto sempre. E anche in suo onore, sulla lapide dove riposa, volle venisse scritto: “Sono diventato alpino, che è il miglior titolo della mia vita”.

    Mariolina Cattaneo