Il dovere di avere doveri

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    Credo che molti di noi, e comunque un italiano su sei, abbiano ancora negli occhi due serate prodotte dalla Rai nel mese scorso, protagonista Roberto Benigni. Due serate dedicate a commentare i Dieci Comandamenti. Lasciamo stare che Benigni possa piacere o meno. Soprattutto lasciamo fuori dalla porta la tentazione dell’ideologia, cioè quella di leggere le cose con gli occhiali delle nostre opinioni. Mi faceva specie sentire una gentile signorina, peraltro convinta d’essere molto intelligente con aria da intellettuale, la quale redarguiva la dirigenza RAI, colpevole, a suo dire, di aver mandato in onda un programma che offendeva la laicità di chi non crede.

    Beh, siccome noi Alpini non ci diamo arie da intellettuali e cerchiamo soprattutto di non dire stupidaggini ed essere stupidi, tenteremo di cogliere qualche utile provocazione da questa vicenda. Che, detto fuori dai denti, non si tratta come qualcuno potrebbe pensare, di un messaggio religioso o soltanto religioso. I Dieci Comandamenti sono le regole civili di un popolo che, tremila anni fa, allo sbando nel deserto, si è dato una Costituzione sulla quale costruire il proprio futuro. Se volete il messaggio è di disarmante attualità: senza regole condivise e doveri da rispettare non c’è futuro per nessun popolo. Ho letto recentemente due libri. L’uno, di Stefano Fontana, ha per titolo “La società dei doveri dopo il fallimento della società dei diritti”.

    Il secondo è solo di qualche settimana fa, ed è di Luciano Violante. Ha un titolo che parla da solo: “Il dovere di avere doveri”. Scrive Violante nel sottotitolo: «Senza diritti non c’è democrazia. Ma una democrazia senza doveri resta in balia degli egoismi individuali e dei conflitti istituzionali». Portiamo tutti nell’animo l’esasperazione per la corruzione che sta devastando la pubblica amministrazione e fasce non irrilevanti della politica. Dalla mafia capitolina al Mose di Venezia, dalle vicende dell’Expo alle ruberie dentro Regioni ed enti pubblici. Cito ancora qualche passo dal libro di Violante, che mi sembra di una coraggiosa crudezza come raramente si può sentire. «Chi è incaricato di funzioni pubbliche, esercitando i propri poteri alla luce dei propri doveri, rende degne di fiducia la politica e la pubblica amministrazione.

    Gli uni e gli altri, così operando, contribuiscono alla fiducia dei cittadini nei confronti dei pubblici poteri e quindi alla tenuta della democrazia. La presenza dei doveri, prima dei diritti, impedisce che una democrazia diventi regime di privilegi e di avidità individuali. Senza una cultura e una pratica dei doveri, i cittadini si muovono come realtà isolate e rissose, perdendo l’idea di appartenere a una comunità. Ciascuno agisce nel proprio esclusivo interesse, avvalendosi dei propri diritti soggettivi, puntati come un’arma contro l’altro.

    Quando i doveri sono muti, la scena della democrazia è occupata da una silenziosa disgregazione della società e dal fragore dello scontro fra diritti». In questa acutissima analisi non mancano neppure richiami forti ad una parte della Magistratura, colpevole di assecondare la cultura dei diritti, che spesso sono soltanto dei desideri. Cari Alpini e amici degli Alpini, personalmente ritengo che questi temi ci tocchino da vicino come pochi altri. Il nostro presidente non perde occasione di richiamare che è in questa cultura del dovere che sta il nostro Dna, il quale trova corpo nel principio di responsabilità, vissuto in una miriade sconfinata di iniziative.

    Mi scriveva un Alpino, dotato di autentica passione civile, dicendomi più o meno queste parole: dobbiamo avere l’audacia di dire parole coraggiose, anche se queste potessero risultare politicamente scorrette. Quattrocentomila copie de L’Alpino e qualche milione di lettori avranno pur una loro forza se torneranno a dire che anche il nostro tempo ha bisogno di Comandamenti.

    Bruno Fasani