Il Friûl nol dismentée

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    Non toccate le penne nere ai gemonesi. Gli alpini, nella città che si è guadagnata sul campo l’amaro titolo di capitale del sisma friulano, sono cari come uno di famiglia. Se non di più per coloro che li ricordano ad affannarsi prima tra le macerie, in cerca di superstiti alla catastrofe del 6 maggio 1976, poi negli 11 cantieri che durante l’afosa estate di quarant’anni fa videro alternarsi ben 64 Sezioni Ana provenienti da ogni parte d’Italia, votate alla messa in sicurezza e parziale ricostruzione delle case rimaste in piedi. 

    Nel Friuli ridotto in ginocchio la gente ha visto in quelle braccia al lavoro lo sprone per rialzarsi, per credere che la rinascita era possibile. Un faro nel buio che è tornato a materializzarsi il 17 e 18 settembre con 2mila penne nere. Tanti sono gli alpini in congedo che si sono ritrovati a Gemona per ricordare l’impegno di quarant’anni fa, toccare con mano i paesi rinati, riabbracciare la gente. E sì, anche assistere con orgoglio al riconoscimento dato alla brigata alpina Julia dall’amministrazione civica, la cittadinanza onoraria di Gemona.

    Accolta dal comandante della Brigata, Paolo Fabbri, con palpabile emozione. «Gemona ci ha dimostrato che esiste il senso di comunità: alla Goi Pantanali c’era il 3º reggimento da montagna, uomini che si sono rimboccati le maniche. Hanno pensato alla comunità. Sono fiero di ricevere questa cittadinanza e orgoglioso di dire ‘Io sono friulano e sono di Gemona’». E proprio la Goi Pantanali, la caserma gemonese della brigata alpina Julia, è stata una delle tappe del ricordo. Ha ospitato una cerimonia in suffragio alle 29 vittime alpine del sisma.

    Altra tappa quella del Consiglio Direttivo Nazionale dell’Ana, che si è riunito nell’antica sala medievale del Consiglio comunale. Al termine l’incontro con le autorità e la rappresentanza delle Sezioni che nel 1976 accorsero in Friuli rispondendo alla richiesta d’aiuto che proveniva da quell’angolo d’Italia messo in ginocchio dalla violenza del terremoto. È stato come un lungo abbraccio quello che la popolazione e le penne nere si sono tributate reciprocamente. Ogni Sezione si è unita alla comunità in cui era stata attiva quarant’anni fa, come a Gemona, nel borgo di Taviele, dove per l’occasione sono stati proiettati filmati dell’epoca. La due giorni si è conclusa in Piazza del Ferro, domenica mattina, con l’ammassamento dei 67 vessilli sezionali, orgogliosamente schierati accanto a 243 gagliardetti, preceduti dal Labaro e dal Presidente dell’Ana Sebastiano Favero.

    Un colpo d’occhio di grande effetto e commozione per la città che ancora una volta, a distanza di quarant’anni, ha potuto sentire forte la straordinaria ondata di solidarietà ricevuta, in un crescendo di emozioni. «Grazie alla gente del Friuli – ha concluso Favero – oggi vogliamo ribadire che gli alpini ci saranno, in particolare lo diciamo agli amici del Centro Italia. È quello che noi sappiamo fare meglio: trasmettere fiducia».

    Ivano Benvenuti

    presidente.gemona@ana.it


    Un abbraccio lungo 40 anni

    Numerosi i discorsi. Tutti belli, profondi, centrati. Ma gli alpini vagavano nel cielo tenebroso e non si lasciavano incantare. La gente, soprattutto di Gemona, applaudiva gli alpini. In congedo e in armi. Vagavano in cerca del presidentissimo, Franco Bertagnolli, che li aveva chiamati per aiutare i fradis. Mani che mostravano la loro rudezza, la loro abitudine a lavorare, ad ubbidire, senza desiderio di apparire. Così nella loro modestia si beccarono anche qualche insulto da due giornali sempre pronti, sempre critici, sempre nel giusto. Poi, dopo le insegne alla Julia e ai suoi Caduti, dopo l’immancabile alzabandiera ci ritroviamo tutti in Duomo per ascoltare Messa e parole eccezionali, sentite, adeguate; alla presenza di cuori che battevano insieme, che ascoltavano insieme, che rivivevano insieme in un’atmosfera di gioia, di fremiti, di sussulti, di amore, di passione, di ricordo, di abbracci, di lacrime, di coppi raccolti in fondo, dal colmo dei tetti. Il 15 settembre di nuovo. Strade spaccate, donne che gemevano in terra, muri ancora che non cessavano di sgretolarsi e vecchi che non si scollavano dalle loro case. Ragazze alle quali accendevi la sigaretta; gliela mettevi in bocca e dicevi loro: «Ora fuma, tranquilla». Noi tornavamo al campo pronti a ricominciare per dare una mano a chi non aveva mai smesso di sperare, a chi non aveva aspettato se non gli alpini, uniti ai fradis. Mentre le colonne del Duomo di Gemona, fuori centro, continuano, nel tempo, a mostrare il dolore degli uni e degli altri, ma anche la forza della comunità.

    Alessandro Rossi


    Per la Goi Pantanali

    Nel 40º anniversario del terremoto del Friuli sono stati ricordati i 29 alpini morti a causa del sisma del 6 maggio 1976 nella caserma Goi Pantanali di Gemona del Friuli. Per l’occasione l’abruzzese Diego Mostacci di Raiano (L’Aquila), oggi scultore e all’epoca alpino autiere di leva nel 207º autoreparto, ha voluto donare alla brigata Julia e alla città di Gemona la sua opera, “Ultimo abbraccio”, in onore dei commilitoni scomparsi. All’inaugurazione della scultura erano presenti il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Danilo Errico, l’allora commissario alla ricostruzione Giuseppe Zamberletti e il Sindaco di Gemona Paolo Urbani. L’artista ha sempre portato nel cuore il segno di quella tragedia e con la sua opera ha voluto restituire alle mamme e ai familiari tutti, il calore di quell’ultimo abbraccio che è stato loro negato, in un saluto carico d’amore.