Il V Comandamento

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    Caro direttore, Lei che conosce la Bibbia più di ogni altro, sa che nella seconda tavola di Mosè, in testa, c’è scolpito il V comandamento “non uccidere”. È messo lì non a caso, prima di tutti gli altri comandamenti della seconda parte, senza se, senza ma. Allora, come Le scrive un alpino, dovremmo essere tutti coraggiosi, audaci, nel renderci paladini dei nostri principali doveri di cristiani, seguendo i dieci comandamenti. 

    Ma i comandamenti non si possono eseguire a metà. Non uccidere, in modo particolare, non ammette deroghe. Il divieto è secco. Vale verso chiunque, vale anche per l’alpino che viene mandato armato fino ai denti in territori di guerra, seppure con scopi di pace. Gesù, in questo caso, direbbe, anzi dice perentoriamente: «Getta via l’arma se vuoi stare con me». Si può conciliare la pace con l’arma, la violenza? Secondo i comandamenti di Dio, no. La domanda se possiamo essere buoni cristiani imbracciando un fucile, ce la poniamo in molti, credo tutti, senza bisogno però di aspettare la risposta. Perché la risposta ce la dà il Vangelo.

    Piero Pistori – Verona

    Mi limito a citarti, caro Pistori, il numero 2.265 del catechismo della Chiesa Cattolica: «La difesa legittima, oltre che un diritto può essere un grave dovere, per chi è responsabile della vita degli altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell’autorità hanno il diritto di usare anche le armi per difendere la comunità civile loro affidata». Non è che i nostri militari, in Libano o in Afghanistan, vadano lì a sfilare per mostrare le divise. Vanno a difendere gente indifesa, anche a costo di uccidere, mettendo a rischio la propria vita. Doppiamente evangelici. Del resto i Vangeli sono pieni di episodi in cui Gesù elogia i meriti e il valore dei militari dell’epoca, evidentemente non condizionato da certo pacifismo ideologico, ma pronto a guardare nel cuore di ognuno per vederne la purezza dell’intenzione.