Cento anni fa, nel maggio del 1916, iniziava la potente offensiva austro-ungarica che si proponeva di sconfiggere sul campo il Regio Esercito Italiano e costringere l’Italia alla resa colpevole di essere passata a combattere al fianco delle Potenze dell’Intesa. L’Esercito Imperiale austro-ungarico impiegò ben due Armate, la 3ª e la 11ª, fra la Val d’Adige e la Val Brenta. Il potente avversario giunse ad un soffio dall’obiettivo prefissatosi, ma a pochi chilometri dalla pianura veneta, il suo impeto s’infranse davanti alla tenace ed eroica resistenza dei soldati italiani.
“Chi Non Ricorda Non Vive” L’offensiva Austro – Ungarica In Trentino nella Primavera Del 1916 (Strafexpedition)
Il Comando supremo austro-ungarico nell’aprile 1916 decise di condurre una potente offensiva contro l’Italia per costringerla a chiedere la pace. Tale decisione scaturiva dal fatto che la situazione generale si presentava favorevole alle forze degli Imperi Centrali che da poco avevano eliminato la Serbia e inoltre che le offensive delle armate italiane sul fronte dell’Isonzo, nel dicembre del 1915, si erano rivelate non risolutive.
L’uscita dell’Italia dalla guerra avrebbe permesso all’Austria – Ungheria di impiegare, parte delle sue forze, circa 400.000 uomini, sul fronte occidentale a fianco dell’alleato germanico per condurre un’azione decisiva.
La gigantesca offensiva organizzata e lanciata dall’Esercito Austro – Ungarico fra il fiume Adige e il fiume Brenta, fu uno degli avvenimenti più importanti che si siano svolti sullo scacchiere italiano su un terreno di montagna accidentato e scarso di risorse: per i nuovi procedimenti di rottura, per il disegno strategico e ambizioso, per la potenza dei mezzi di distruzione e anche per le contromisure adottate dall’esercito italiano.
La “Strafexpedition”, (Spedizione punitiva), così chiamata dagli austriaci, dal suo inizio sino allo schieramento delle forze austro – ungariche sulla nuova e più avanzata linea di difesa, interessò un fronte montano di circa 60 chilometri fra la Val d’Adige e la Valsugana, coinvolgendo quattro armate per un periodo di 40 giorni.
All’inizio delle ostilità non avendo sul fronte trentino forze sufficienti per fronteggiare quelle della 1a Armata italiana, il Comando Supremo austro – ungarico aveva previsto, in un primo tempo, di ritirare le proprie truppe su una linea di difesa ad oltranza. In considerazione di ciò, nell’ autunno 1915, i nostri reparti avanzarono in territorio nemico (settore del sud-est del saliente trentino) incontrando solo una debole resistenza e occuparono l’intero massiccio del Pasubio, sino ad arrivare alla periferia di Rovereto e su vaste aree degli Altipiani di Folgaria e Lavarone e dell’alta Valsugana.
Il piano di guerra del feldmaresciallo Franz Conrad von Hötzendorf, capo di stato maggiore delle forze armate imperiali, il nemico numero uno dell’Italia, era quello di utilizzare il “saliente Trentino” come avamposto di partenza per giungere vittoriosamente nel cuore della pianura veneta e cogliere alle spalle il grosso dell’esercito italiano schierato sul fronte del Cadore e dell’Isonzo, vibrando così un tremendo colpo al secolare nemico e costringerlo alla resa.
Da alcuni documenti di fonte austriaca risulta che negli anni precedenti il conflitto il generale Conrad avesse studiato accuratamente ed elaborato i piani di operazione per sferrare un’offensiva attraverso gli Altipiani di Folgaria e Lavarone e raggiungere le città di Vicenza e Padova.
Durante gli anni trascorsi a Innsbruck, al comando della 8a Divisione di fanteria, il Conrad profuse il suo impegno a studiare la frontiera italiana, convinto che il saliente Trentino avrebbe costituito un’ottima base di partenza per lanciare una offensiva senza preavviso contro l’Italia per riprendersi i territori perduti nelle guerre passate.
Allo scopo di conoscere meglio il territorio del nostro Trentino si iscrisse all’Alpenverein, e con i soci di questa associazione, compì numerose escursioni fra quelle montagne.
Nel settembre 1905 venne nominato capo di stato maggiore dell’Esercito e subito per ben due volte tentò di far accettare a Vienna la richiesta di mettere in pratica (dichiarando guerra all’Italia) i piani di operazione che lui stesso aveva elaborato con tanta diligenza.
A causa di questa sua insistenza nel voler attaccare l’Italia, il 2 dicembre 1911, l’Imperatore Francesco Giuseppe, lo rimosse da capo di stato maggiore. La rimozione durò sino al 7 dicembre 1912, giorno in cui il feldmaresciallo Conrad venne di nuovo nominato capo di stato maggiore dell’esercito imperiale.
Il disegno operativo del feldmaresciallo Conrad dal punto di vista strategico, era geniale, audace e ambizioso, sia per i grandi principi della guerra che lo sostenevano e sia per gli scopi che avrebbe raggiunto qualora l’offensiva avesse avuto il successo sperato.
Senza dubbio possiamo affermare che l’offensiva austro – ungarica del maggio 1916 è stata una delle più gigantesche e complesse operazioni manovrate della Prima Guerra Mondiale svoltesi in terreno montuoso e accidentato e costituì, per l’Esercito Italiano, il primo rilevante successo ottenuto contro la Monarchia Asburgica.
La genesi del piano del generale Conrad
Il 10 dicembre 1915 il generale Conrad espose il suo progetto dell’offensiva al generale Erich von Falkenhayn, capo di stato maggiore generale dell’esercito germanico. Per realizzare l’obiettivo strategico il generale Conrad richiese all’alleato il rinforzo di 8 o 9 divisioni germaniche con le quali sostituire sul fronte della Galizia altrettanti divisioni austro – ungariche da impiegare sul fronte Trentino per l’offensiva.
Dopo alcuni contrasti tra i due Comandanti riguardo l’opportunità di scatenare l’offensiva sul fronte Trentino e la consistenza delle unità da impiegare (il collega tedesco, giudicava necessario l’impiego di almeno venticinque divisioni con un massiccio impiego di artiglierie), il generale Conrad ottenne un netto rifiuto.
Il 6 febbraio 1916, in seguito al rifiuto dei tedeschi di fornire il loro appoggio, il generale Conrad, dopo aver ricuperato alcune divisioni dal fronte della Galizia e dal fronte balcanico, decise di effettuare l’operazione con le sole proprie forze attraverso gli Altipiani di Folgaria, Lavarone e Asiago con l’obiettivo di raggiunger la pianura padanoveneta.
Il generale tedesco Falkenhayn era convinto che un successo contro l’Italia non avrebbe messo in ginocchio l’esercito italiano, mentre a lui servivano tutte le forze disponibili perché stava preparando una potente offensiva nella zona di Verdun per sconfiggere i Francesi e gli Inglesi; inoltre, faceva presente che l’Italia non aveva dichiarato guerra alla Germania, e per il momento, era escluso un conflitto con l’Italia.
La decisione presa dal capo di stato maggiore tedesco di negare all’alleato i rinforzi richiesti costrinse l’Austria a contare solo su se stessa.
Per l’esecuzione del piano furono destinate due armate riunite nel “Gruppo di Armate del Tirolo” al comando dell’arciduca Eugenio d’Asburgo.
La massa d’urto era costituita dalla 11ª e dalla 3ª Armata per un complesso di 14 divisioni e tre Brigate autonome appoggiate da 1056 pezzi di artiglieria dei quali 70 di grosso e grossissimo calibro; fra questi ultimi tre potenti obici da 420 millimetri e il famoso pezzo della marina da 350 millimetri, chiamato dagli artiglieri austriaci “Il lungo Giorgio”, con una canna lunga 15,75 metri e una gittata di 31 chilometri. Questo grosso pezzo fu messo in batteria nelle vicinanze dell’abitato di Calceranica. Il primo colpo fu sparato il 15 maggio alle ore 7,15 del mattino contro l’abitato di Asiago e la granata scoppiò nei pressi del Duomo del paese provocando numerose vittime e molto panico; particolarmente micidiali furono i moderni obici da 380 millimetri: la loro gittata era di 16 chilometri e i loro proiettili pesavano 700 chili. La loro forza di penetrazione consentiva di distruggere con pochi colpi un’opera di cemento armato.
Il piano originario prevedeva di impiegare la 11ª Armata in prima schiera (comandante generale Viktor Dankl) costituita da 9 divisioni più tre Brigate su quattro Corpi d’Armata, l’ VIII che doveva operare fra la Val Lagarina e la Val Terragnolo, il XX che doveva agire fra la Val Terragnolo e la Val d’Astico con obiettivi Thiene, il III Corpo impegnato fra la Val d’Astico e le pendici settentrionali dell’Altopiano dei Sette Comuni, il XVII Corpo in Valsugana e la 3ª Armata (comandante generale Hermann Kövess, costituita da 5 divisioni su 2 Corpi d’Armata il I e XXI) in seconda schiera per alimentare lo sforzo in profondità e sfruttare il successo.
I primi ordini, emanati il 6 febbraio 1916 dal Comando Supremo Austro – Ungarico, precisavano che “l’11ª Armata attaccherà fra l’Adige e la Valsugana con il grosso delle forze ben riunito sugli Altipiani di Lavarone e di Folgaria in direzione di Thiene e di Bassano. La 3ª Armata, scaglionata a tergo della 11ª Armata, sarà impiegata secondo la situazione, probabilmente per sfruttare il successo allo sbocco dei monti…”.
In pratica doveva essere esercitato uno sforzo principale con il grosso delle forze al centro del settore con direttrice Altopiano di Folgaria – Tonezza – Val d’Astico – Arsiero – Schio – Vicenza essendo questa la via più breve per sfociare in pianura. Ma il Comando del fronte sud – ovest, rappresentato dall’arciduca Eugenio, fu di diverso avviso. Sorsero divergenze di vedute nella catena di comando responsabile della condotta delle operazioni.
L’Arciduca Eugenio e il suo capo di stato maggiore, generale Alfred Krauss, pianificarono di estendere l’attacco anche in Valsugana con l’intenzione di far operare le due Armate affiancate una lungo la direttrice Col Santo – Pasubio e sugli Altipiani di Folgaria e Lavarone e l’altra Armata sull’Altopiano di Asiago e in Valsugana per sfruttare la nuova ferrovia Trento – Primolano – Bassano – Padova.
Questa diversa concezione dell’impiego delle forze e la mancanza di unità d’azione fra i principali protagonisti dell’offensiva (Arciduca Eugenio d’Asburgo, generale Conrad, generale Dankl e generale Kövess) ebbe conseguenze notevoli sull’esito finale dell’operazione. In particolare il Comando del Gruppo di Armate del Tirolo modificò il piano per dare la possibilità al giovane Arciduca Carlo, erede al trono imperiale, comandante del XX Corpo d’Armata, di ottenere un sicuro successo.
Inoltre il III Corpo, con la sue artiglierie schierate sull’Altopiano di Lavarone, aveva ricevuto l’ordine di appoggiare con il fuoco l’azione principale del XX Corpo.
Il Gruppo di Armate del Tirolo inizia la radunata
Alla fine del febbraio 1916 si intensificarono le operazioni di radunata per preparare la potente offensiva. Il comando Gruppo di Armate del Tirolo stabilì la sua sede a Bolzano presso l’Hotel Grifone. Le truppe austro – ungariche incominciarono ad affluire in Trentino nello spazio compreso fra la Val d’Adige e la Valsugana. Per il trasferimento delle grandi unità, delle artiglierie, dei quadrupedi e delle dotazioni di munizioni e viveri, furono utilizzati più di 1500 treni.
L’offensiva avrebbe dovuto iniziare l’11 aprile, ma le abbondanti nevicate iniziate ai primi di marzo (sugli Altipiani la neve raggiungeva i 2,5 metri di spessore) e le numerose valanghe che avevano ostruito la rete stradale, ostacolarono l’assunzione dello schieramento delle unità al punto che stravolsero il piano del comando austro – ungarico.
A causa delle sfavorevoli condizioni meteorologiche il Comando del Gruppo di Armate del Tirolo rinviò l’inizio dell’offensiva al 15 maggio compromettendo in pratica la sorpresa. Alcuni giorni prima dell’offensiva il generale Falkenhayn prese contatto con il generale Conrad per convincerlo a rinunziare all’operazione, poiché era venuta a mancare la sorpresa e l’attacco non avrebbe raggiunto gli scopi prefissati, ma il generale Conrad non raccolse il suggerimento poiché le truppe erano già schierate per iniziare l’attacco.
L’intenso movimento di treni carichi di uomini e mezzi non sfuggì ai nostri comandi e, in particolare, all’Ufficio Informazioni del Comando della 1ª Armata, con sede a Verona, responsabile della difesa di quel settore del fronte che a più riprese segnalò al Comando Supremo i preparativi del nemico e il pericolo incombente.
Sulla base delle informazioni ricevute il 24 febbraio il generale Cadorna precisava che la linea di resistenza in caso dell’offensiva austriaca doveva essere la linea arretrata da Ospedaletto in Valsugana a Lizzana – Castel Dante in Val Lagarina, passando per Cima Caldiera, Cima Portule, Porta Manazzo, Verena, Campolongo, Spitz Tonezza, Monte Campomolon, Monte Toraro, Col Santo, Zugna Torta posizioni queste ultime capaci di offrire la massima resistenza.
Dalla dislocazione e ripartizione delle forze nemiche l’Ufficio Informazioni della predetta armata, diretto con intelligenza e passione dal colonnello degli alpini Tullio Marchetti, vero apostolo dell’irredentismo trentino, che sin dalla fine di marzo riteneva che l’avversario stesse preparando una grossa offensiva in corrispondenza della Val Lagarina, Altopiano di Lavarone e Valsugana, teneva aggiornato costantemente il Comando Supremo a Udine, specificando schieramenti delle truppe austriache e potenzialità delle loro artiglierie.
Il 26 aprile un ufficiale disertore cecoslovacco forniva notizie precise e particolari sul piano offensivo nemico che rivelavano la gravità della minaccia incombente.
Informato tempestivamente dal comando della 1a Armata sulla realtà che andava maturando, il generale Cadorna, tra il 29 aprile e il 4 maggio, durante l’ispezionava al fronte trentino si rese conto che il comando della 1a Armata non aveva per nulla ottemperato agli ordini del Comando Supremo.
Percepita la imminente gravissima minaccia, Cadorna provvedeva a rinforzare la 1ª Armata, in un primo tempo, con quattro brigate di fanteria, 16 battaglioni di alpini, 18 batterie di medio calibro, 122 sezioni di mitragliatrici, reparti del genio ed aerei da ricognizione. Successivamente assegnava in rinforzo all’Armata la 9a e la 10a Divisione.
Il complesso dei provvedimenti adottati dal Comando Supremo italiano infusero fiducia ai comandanti ed alla truppa, ma uno schieramento delle nostre forze troppo a ridosso di quelle nemiche e il poco tempo a disposizione dei reparti, purtroppo, non fu sufficiente agli stessi per perfezionare lo schieramento difensivo e incrementare adeguatamente la consistenza delle difese in profondità (costruzione di postazioni, trincee, ricoveri, pose di campi minati e reticolati, ecc.).
Dietro la prima linea, pericolosamente sbilanciata in avanti da quattro a sei chilometri, specie in Val Lagarina e in Valsugana, mancava una solida linea di difesa arretrata appoggiata su posizioni vantaggiose per la difesa e con riserve sufficienti a fronteggiare la pericolosa situazione.
L’8 maggio il generale Brusati, comandante della 1ª Armata, per non aver applicato le direttive del 25 marzo del generale Cadorna che prevedevano l’assunzione di uno schieramento decisamente difensivo su posizioni di massima resistenza, veniva sostituito al comando dell’Armata dal generale Guglielmo Pecori Giraldi.
L’omissione di quell’ordine colse le unità dell’Armata con uno schieramento nettamente offensivo a ridosso della prima linea austriaca e senza avere adeguate forze dislocate in profondità per frenare l’urto avversario e manovrare con le riserve.
Al 15 maggio la situazione delle unità della 1a Armata italiana schierate fra l’Adige e la Val Cismon (l’Armata aveva la responsabilità anche del tratto Passo dello Stelvio – Lago di Garda) era la seguente: 158 battaglioni di fanteria (27 dei quali di Milizia Territoriale), con 720 pezzi di artiglieria ( 36 di grosso calibro, 256 di medio e 432 di piccolo calibro). Complessivamente il tratto di fronte investito dall’offensiva austriaca era difeso da 198.000 uomini compresi i soldati dell’artiglieria, del genio, della Milizia Territoriale, della Guardia di Finanza e dei servizi logistici.
All’inizio dell’offensiva il Gruppo di Armate del Tirolo disponeva di 193 battaglioni di fanteria, 1056 pezzi di artiglieria di cui 320 di medio e grosso calibro per un complesso di circa 295.000 uomini fra fanteria, artiglieria, genio e dei servizi logistici.
All’inizio dell’offensiva austriaca le trincee della 1ª Armata si snodavano dal Doss Casina – Mori – versante destro di Val Terragnolo – Monte Maronia – Soglio d’Aspio – Pedemonte – Cima Norre – Costone Marcai – fortino di quota 1857 – falde ovest Monte Armentera – Roncegno – Monte Collo – Monte Setole, per arrivare al Cimón della Pala.
Vediamo come era organizzata la difesa nel tratto di fronte investito dall’offensiva asburgica: in Val Lagarina, a cavallo del fiume Adige, era schierata la 37a Divisione al comando del generale Ricci – Armani, con responsabilità dal Monte Baldo al Torrente Leno di Vallarsa (escluso).
Dalla Vallarsa al margine nord dell’Altopiano di Asiago era schierato il V Corpo d’Armata al comando del tenente generale Gaetano Zoppi: con lo Sbarramento Agno – Posina (generale Pasquale Oro) su Brigata Roma, Battaglioni Alpini Val Leogra e Monte Berico e 44a Brigata Milizia Territoriale; la 35a Divisione (tenente generale Felice De Chaurand) dal Monte Maronia all’Alta Valle Astico; la 34a Divisione (maggiore generale Alessandro Angeli) dalla Val d’Astico (esclusa) alla Cima Manderiolo; in Valsugana, il Settore Brenta – Cismon, da Cima Manderiolo (esclusa) alla Croda Grande, con la 15a Divisione al comando del generale Donato Etna. In riserva di Armata la 9a e la 10a Divisione, la Brigata Sicilia e il Gruppo Alpini E.
La potente offensiva si sviluppò attraverso quattro fasi di cui descriverò i fatti più significativi.
Prima fase (15 – 19 maggio) – La Battaglia di Folgaria e Lavarone
L’offensiva iniziò alle ore 06.00 del 15 maggio, con un poderoso fuoco di artiglieria “a guisa di uragano” dall’Adige all’Astico, diretto contro il centro dello schieramento italiano per distruggere i reticolati e le trincee; alle ore 10.00 iniziò l’attacco delle fanterie. Schiacciati dalla superiorità numerica della fanteria austriaca, appoggiata da poderosi mezzi distruttivi (a Folgaria su 6 km. di fronte si concentrò il fuoco di 360 cannoni), gli italiani nonostante gli eroici sforzi di numerosi reparti, furono costretti a cedere le posizioni più avanzate: il nemico colse subito notevoli successi locali nel settore Vallarsa – Val Terragnolo e sull’Altopiano di Folgaria e Lavarone.
In questa prima fase dell’offensiva avanzò l’ala destra nemica, costituita dall’11a Armata con l’VIII e il XX Corpo d’Armata rispettivamente contro la Zugna Torta – Val Terragnolo (difeso da reparti della 37ª Divisione e dallo sbarramento Agno – Posina) fino al Monte Pasubio e al limite sud dell’Altopiano di Folgaria (Monte Maggio, Monte Toraro, Monte Campomolon, Spitz Tonezza) (difeso dalla 35ª Divisione).
Dopo cruenti combattimenti il giorno 15 maggio, la 6a Brigata da montagna austro – ungarica, conquistò le posizioni avanzate di Castel Dante – Sich a sud di Rovereto, quota 751 di Grottole difesa con estrema caparbietà da un gruppo di valorosi fanti del 207° Reggimento della Brigata Fanteria Taro.
In questo settore la difesa posizionata su una linea molto avanzata riuscì, a prezzo di gravi perdite, a tenere sulla linea Zugna Torta – Pasubio – dorsale di riva destra del torrente Posina. Le forze austriache furono così bloccate all’imbocco della Vallarsa e nel settore dello sbarramento Agno – Posina.
Il 16 maggio, la 57a Divisione di montagna austro-ungarica conquistò, dopo tenaci resistenze da parte dei fanti del 208° Reggimento della Brigata Fanteria Taro, il caposaldo di Costa Violina, parte dello Zugna Torta e venne occupato il Terragnolo ma il caposaldo di Piazza di Terragnolo, difeso dai fanti della Brigata Fanteria Roma e dagli alpini del Battaglione Monte Berico, non cedette agli assalti della fanteria austriaca. Durante quei combattimenti, a Costa Violina, venne catturato dagli austriaci il sottotenente di artiglieria Damiano Chiesa, valoroso irredento di Rovereto, che sarà fucilato il 19 maggio nella fossa del Castello del Buon Consiglio di Trento.
Sempre durante quelle giornate infuocate, a Trambileno, cadde eroicamente il maggiore Felice Chiarle, comandante del 17° Gruppo di artiglieria da montagna del 3° Reggimento. Morto il comandante di una sua batteria ne assumeva il comando che tenne per quattro giorni sotto intenso bombardamento avversario. Distrutti i pezzi dal fuoco nemico, ferito alla spalla e alla testa, si rifiutava di lasciare i suoi artiglieri e la posizione e con i pochi superstiti ed i fanti della Brigata Roma andava all’assalto contro il nemico cadendo sul campo di battaglia.
Nella medesima giornata del 16 maggio, protetti da un violentissimo fuoco di artiglieria, reparti austriaci del XX Corpo, perfettamente addestrati a combattere in montagna, attaccarono e conquistarono i capisaldi di Monte Coston, Costa d’Agra e Monte Maronia, completamente distrutti dal fuoco dell’artiglieria nemica. I pochi difensori rimasti furono costretti a ripiegare, combattendo, su Monte Maggio e Monte Coston d’Arsiero.
Nel frattempo l’VIII Corpo d’Armata austriaco, che operava a cavallo della Vallarsa, dopo aspri combattimenti all’arma bianca, conquistò il Monte Zugna Torta e la località di Piazza di Terragnolo.
Durante queste operazioni, il 17 maggio, il Comando del Gruppo di Armate del Tirolo effettuava un rimaneggiamento delle forze: il III Corpo d’Armata passava alle dirette dipendenze della 3a Armata e assegnava all’11a Armata il XXI Corpo. Con questo provvedimento le due armate risultarono, pertanto, non più una dietro all’altra ma affiancate con limite di settore la Val d’Astico, proprio a cavaliere della direttrice di attacco principale.
Nella giornata del 19 maggio, sull’Altipiano di Folgaria, la pressione nemica aumentò di intensità per numero di soldati che per mezzi bellici, tanto che gli austriaci occuparono le forti posizioni di Monte Maggio, Monte Toraro – Monte Campomolon – Passo della Vena, Spitz Tonezza, presidiate dalla 35a Divisione.
Il movimento fu effettuato nella notte del 20 sotto la protezione del “Gruppo Alpini E” costituito dai Battaglioni Cividale, Monte Clapier, Monte Matajur, Monte Mercantour e Val Natisone.
In questo settore del fronte il XX Corpo d’Armata austriaco riuscì a progredire celermente grazie anche al massiccio e perfetto concorso di fuoco delle artiglierie del III Corpo d’Armata austro – ungarico.
Nello stesso giorno la Sbarramento Agno – Posina, difeso dai fanti della Brigata Roma e dagli Alpini del Battaglione Monte Berico e Val Leogra, subì un gravissimo colpo. I difensori attaccati da più direzioni da reparti della 59a Divisione, dopo una strenua resistenza, dovettero abbandonare il Col Santo e davanti all’impeto nemico ripiegare verso il Pasubio difeso dai fanti della Brigata Volturno e Puglie. Sotto la pressione avversaria vennero abbandonati anche i forti di Pozzacchio e il campo trincerato di Matassone (ambedue forti austriaci precedentemente occupati dagli italiani) ubicati nella sottostante Vallarsa.
Da quel momento il Pasubio, veniva investito in pieno dalla “Strafexpedition” e diveniva uno dei luoghi simbolo della resistenza nel Trentino. Nonostante i ripetuti tentativi dell’11ª Armata austriaca, questa non riuscirà mai a cogliere altri risultati di rilievo: rimarrà bloccata definitivamente in Vallarsa e davanti alle alture del Monte Giove – Monte Novegno, estremo baluardo difensivo prima della pianura vicentina.
Durante questi cruenti combattimenti non mancarono episodi di disorientamento, ma per contro moltissimi furono gli atti di valore dei soldati italiani che, per evitare la rottura del fronte, si sacrificarono sul posto con i loro comandanti.
Il “Rapporto giornaliero all’imperatore”, in data 26 maggio, compilato dal Comando Supremo austro – ungarico così si esprimeva nei riguardi della difesa italiana di Monte Cimone: “Il nemico (due o tre battaglioni alpini) si è battuto con estremo valore ed ha subìto perdite sanguinose”.
Seconda fase (20 – 28 maggio) – Offensiva sull’Altopiano di Asiago della Terza Armata
Esauritosi per il momento lo slancio offensivo nel settore del Coni Zugna – Pasubio e sull’Altopiano di Folgaria, il nemico concentrò lo sforzo all’ala sinistra dello schieramento contro le difese della 34a Divisione italiana (generale Alessandro Angeli) verso l’Altipiano di Tonezza, in Val d’Astico e sulla dorsale nord dell’Altipiano di Asiago.
Il 20 maggio, dopo un’infernale preparazione di artiglieria, il III Corpo d’Armata, posizionato a sinistra dello schieramento dell’11a Armata, scattava all’attacco contro le posizioni italiane schierate a difesa tra il torrente Astico e le cime nord dell’Altopiano di Asiago.
Pressati da ovest e minacciati di aggiramento da nord per Cima Portule, le unità italiane, il 23 maggio, furono costrette a ripiegare malgrado aver eseguito una tenace resistenza sulle trincee avanzate. Furono abbandonate perché non occupate in tempo le fortissime posizioni della linea di Cima Portule – Bocchetta di Portule. Vani furono i nostri tentativi di riprendere le posizioni perdute impegnando tutte le riserve divisionali e di Armata.
La preponderante pressione nemica esercitata sui fianchi ed al centro, mediante violentissime azioni di artiglieria e con impiego di unità scelte di fanteria, costrinse i nostri reparti, per ricuperare tempo e spazio tra le nostre forze e gli austriaci, a ripiegare su una nuova linea arretrata di difesa.
Di fronte all’impeto avversario, prendendo atto della critica situazione, il Comando della 1a Armata ordinava per la notte sul 28 maggio, il ripiegamento sulle alture a sud della cittadina di Asiago, sulla linea Forte di Punta Corbin – Monte Lemerle (a est di Cesuna) – Monte Kaberlaba – Cima Eckar – Meletta di Gallio – Monte Cimon della Fiara – Castelloni di San Marco. Il 28 sera pattuglie austriache entravano in Asiago completamente distrutta dal fuoco della loro artiglieria.
In questa seconda fase l’avanzata della 3a Armata austriaca fu più profonda ma, dopo cruenti combattimenti, si esaurì nella conca di Asiago.
In definitiva anche per la 3ª Armata nemica si determinò una situazione analoga a quella della 11ª Armata che la sera del 19 maggio venne a trovarsi bloccata in Vallarsa e nel bacino del Posina – Astico.
Di fronte all’ insidiosa minaccia austriaca diretta sull’Altopiano di Asiago e sul Pasubio ed alla scarsità di riserve della 1ª Armata e dello stesso Comando Supremo, il generale Cadorna sin dalla sera del 20 maggio, allo scopo di rinsaldare la difesa nel settore trentino, decise la costituzione della 5ª Armata su 10 Divisioni da concentrare nella pianura tra Padova e Vicenza per contrapporsi agli austriaci, qualora essi fossero riusciti ad irrompere in pianura.
I movimenti delle unità iniziati il 25 maggio ebbero termine il 2 giugno: quelle complesse e difficili manovre per concentrare i reparti nella pianura vicentina, in modo da poter rapidamente muovere in più direzioni, fu una delle più brillanti e riuscite manovre logistiche della Prima Guerra Mondiale.
Nel giro di pochi giorni fu costituita una nuova armata, la 5a Armata agli ordini del generale Frugoni, forte di 5 corpi d’armata su dieci Divisioni per un complesso di 180.000 uomini.
Terza fase (29 maggio – 10 giugno) –Offensiva in Vallarsa e su Monte Fior – Castelgomberto
La lotta raggiungeva i suoi momenti culminanti attorno alla fine di maggio e nella prima decade di giugno allorquando gli austro – ungarici con ripetuti sforzi diretti in ogni direzione del settore, cercarono di scardinare l’ultima linea difensiva italiana che li bloccava in Vallarsa, nel bacino Posina – Astico e sulle estreme pendici meridionali dell’Altopiano di Asiago e sul Monte Novegno. Fu questa la fase degli epici scontri.
Sul fronte Val Lagarina – Vallarsa le agguerrite unità della 48ª Divisione, sostenute da massicce azioni di fuoco di artiglieria (compresi i micidiali mortai Skoda da 305 mm.) effettuarono ripetuti ed accaniti attacchi contro Passo Buole, per aggirare le difese italiane del Monte Cogni Zugna, difese eroicamente dalle Brigate di Fanteria Taro, Sicilia, Padova, 42° Battaglione Bersaglieri, dal Battaglione Alpini Val d’Adige e dalla 9a compagnia del 1° Reggimento Genio, ma furono definitivamente ricacciati a colpi di baionetta e bombe a mano sulle posizioni di partenza. Fu una battaglia terribile, con momenti drammatici, sotto il fuoco tambureggiante dell’artiglieria pesante austriaca ed i ripetuti assalti dei soldati austro-ungarici.
Durante gli attacchi di Passo Buole si distinse in modo particolare don Annibale Carletti, cappellano del 207° Reggimento Fanteria, decorato con la Medaglia d’Oro al Valore Militare, dove in quei tragici momenti inspirò a tutti i militari elevati sentimenti di fede, di dovere e di amor patrio dando, anche in combattimento, prova di coraggio personale e sprezzo del pericolo.
La conclusione positiva di questi furiosi combattimenti costituì il primo sintomo della ripresa e servì a rianimare gli animi dei soldati italiani duramente impegnati a contrastare il baldanzoso nemico. La battaglia di Passo Buole per la sua cruenta, disperata lotta fu denominata dal giovane poeta tenente della Brigata “Pavia” Mavm Vittorio Locchi, cantore della “Sagra di Santa Gorizia”, le “Termopoli d’Italia”.
Sul fronte dello Sbarramento Agno – Posina l’avversario sferrò una serie di disperati attacchi contro le posizioni investite sul Pasubio e contro le posizioni di Monte Novegno. Il 25 maggio, dopo una lotta violentissima, durata ben sette ore, cadde Monte Cimone, difeso dai Battaglioni Alpini Monte Clapier e Cividale, il 27 gli austriaci occuparono il paese di Arsiero, situato allo sbocco della Val d’Astico a pochi chilometri dalla pianura vicentina, il 30 cadde l’importante posizione di Pria Forà ma i restanti capisaldi posti a difesa del Monte Novegno resistettero all’urto nemico.
La battaglia raggiunse il vertice della lotta sull’Altopiano di Asiago contro le ali del nostro schieramento saldamente abbarbicato sul Monte Cengio, Monte Belmonte, Monte Lemerle, Monte Sisemol, Monte Spil, Monte Fior – Castelgomberto.
In questa fase della asprissima battaglia molti furono gli episodi di valore per arrestare l’impeto delle Divisioni austro – ungariche.
Ricordo la leggendaria resistenza dei granatieri di Sardegna sul Monte Cengio, dove all’alba del 3 giugno quegli eroici soldati, aggrappati alle rocce strapiombanti sulla Val d’Astico, dopo aver esaurito le munizioni, ingaggiarono con gli assalitori un furioso corpo a corpo, tanto da finire, avvinghiati ognuno ad un austriaco, precipitando dal dirupo sul fondo della Val d’Astico; il superbo comportamento del Gruppo Alpini di Foza (Battaglione alpini Val Maira, Monviso, Morbegno e Argentera ed i fanti della leggendaria Brigata Sassari), che nei giorni 5-8 giugno, su Monte Fior – Castelgomberto – Monte Spil – Monte Miela si opposero con estremo vigore ai valorosi gruppi d’assalto bosniaci.
Al termine dell’offensiva il tenente colonnello Stephan Duic, valoroso comandante dei Reparti d’Assalto del 2° Reggimento fanteria Bosniaco – Erzegovina, così si espresse nei riguardi degli alpini a difesa di Monte Fior – Castelgomberto: “Valorosi e tenaci, gli alpini difesero con accanimento ogni pietra, ogni pezzo di trincea, ogni postazione di mitragliatrice, finché caddero nel combattimento corpo a corpo”.
Da questo momento il nostro Comando Supremo cominciò a comprendere che la situazione si era ormai stabilizzata e, in relazione a questo positivo evento, modificò l’orientamento d’impiego della 5a Armata: non più tenuta in riserva in pianura ma venne impiegata per concorrere a rinforzare le nostre truppe in montagna e successivamente effettuare la controffensiva.
Quarta fase (11 – 18 giugno) – La fine della Strafexpedition
L’ultima fase della battaglia, dall’11 al 18 giugno, fu contrassegnata dal concentrarsi dello sforzo austriaco in un ultimo vano tentativo di sfondamento da parte delle due Armate, la 3ª e la 11ª, sull’Altopiano di Asiago contro il Monte Lemerle e Monte Zovetto e contro il Massiccio del Novegno sulle prealpi vicentine.
Gli austro – ungarici, contro il Monte Novegno, lanciarono a più riprese le migliori unità da montagna i famosi “Kaiserjäger” dell’8a Divisione. Sapevano che su quel massiccio si giocava l’esito dell’offensiva. Da ambo le parti le perdite furono altissime, ma furono respinti.
Il 16 giugno gli austro-ungarici, appoggiati anche dal fuoco delle artiglierie del XX Corpo d’Armata, sferrarono l’ultimo disperato attacco contro i capisaldi di Monte Zovetto – Casera Magnaboschi, difeso dalle Brigate di Fanteria Liguria e Forlì, mentre reparti austriaci rivolgevano i loro violenti assalti contro le posizioni di Monte Lemerle ma non riuscirono a rompere le difese italiane.
Tutti gli assalti si esaurirono di fronte alla ferma e incrollabile tenacia dei nostri soldati.
Eroica fu la resistenza della Brigata Liguria sul Monte Zovetto guidata dal generale Achille Papa. La sera del 16 giugno la Brigata Liguria aveva sacrificato alla Patria duemila fanti fra morti, feriti e dispersi. Su quel monte difeso strenuamente dalla Brigata Liguria è stato eretto un cippo con il motto: “Pro aris et focis” (Per i nostri altari e i nostri focolai).
Il 12 giugno il generale Dankl, accusato di incompetenza dal generale Conrad, chiedeva di essere rimosso dal comando dell’Armata e il 17 giugno veniva sostituito con il generale Rohr, già comandante della 10a Armata.
A partire dal 16 giugno iniziò la controffensiva italiana all’ala destra del nostro schieramento, sul lato nord dell’Altopiano di Asiago, in corrispondenza della Val Franzela, diretta verso i Castelloni di San Marco.
Nel quadro della controffensiva italiana che si sviluppò anche nel settore Pasubio – Vallarsa, desidero ricordare la cattura di Cesare Battisti e Fabio Filzi. La notte del 10 luglio, il Battaglione Alpini Vicenza, formato dalle compagnie 59a, 60a, e 61a e da una compagnia di Marcia al comando del Tenente Cesare Battisti, riceveva l’ordine di occupare il Corno di Vallarsa situato sulla destra del torrente Leno di Vallarsa a quota 1765 metri, occupato da un reparto austriaco. Il combattimento aspro e sanguinoso in un primo tempo ebbe successo ma a causa delle forti perdite e di un rabbioso contrattacco austriaco fallì. Durante l’assalto alla posizione molti alpini caddero falciati dalle mitragliatrici austriache e molti furono circondati e catturati, tra questi ultimi il Sottotenente Fabio Filzi e il Tenente Cesare Battisti, che dopo essere stati riconosciuti furono tradotti e incarcerati a Trento. Dopo un processo farsa, il 12 luglio 1916, furono condannati a morte e impiccati nella Fossa del Castello del Buon Consiglio. Cesare Battisti affrontò l’esecuzione con animo sereno e con grande fierezza e morì gridando in faccia agli austriaci “Viva Trento italiana”, “Viva l’Italia!” Per il loro eroismo in combattimento e il loro coraggio nel supremo sacrificio fu concessa loro la Medaglia d’Oro al Valore Militare alla memoria.
Di fronte ai rovesci sul fronte russo ad opera delle armate di Brussilov e agli insuccessi riportati anche sul fronte trentino e sull’Altipiano di Asiago, il 16 giugno alle ore 18.30, il generale Conrad ordinava la sospensione generale dell’offensiva e il ripiegamento delle due armate su una linea di resistenza molto forte.
Il mancato successo produsse un effetto avvilente sul morale dei comandanti austriaci e nelle truppe che si erano battute con grande impegno. L’estremo sforzo austro-ungarico, non più alimentato dallo slancio iniziale e per di più sottoposto al logorante impegno logistico, venne ad arenarsi davanti all’ultimo diaframma che separava le armate imperiali dalla pianura veneta. La manovra di ripiegamento veniva condotta nella notte tra il 24 e 25 giugno su una linea prescelta dal Comando Gruppo di Armate sotto la protezione di piccoli reparti lasciati nelle trincee. Si concludeva così, dopo quaranta giorni di combattimenti, la “Strafexpedition”.
In quella drammatica primavera gli austriaci giunsero a pochi chilometri da Vicenza, obiettivo che se fosse stato raggiunto, avrebbe costretto l’Italia a chiedere un armistizio o perlomeno avrebbe provocato la caduta del fronte del Cadore e dell’Isonzo. Sicuramente l’Italia avrebbe corso un pericolo molto più grave di quello che dovette affrontare nell’ottobre del 1917 a Caporetto.
Grazie al generoso sacrificio delle nostre truppe, che arrestarono l’offensiva austriaca sulle Prealpi vicentine e sugli estremi limiti meridionali dell’Altopiano di Asiago e grazie, anche, al mancato concorso dell’alleato germanico che rifiutò di combattere contro l’Italia, l’esercito italiano riuscì a infrangere la mortale minaccia della Duplice Monarchia Asburgica.
Generale di Brigata Tullio Vidulich
Il Monte Cimone di Arsiero. Ai piedi il Paese di Arsiero.
Il Passo Buole visto da Cima Mezzana.
La Cima del Monte Cengio.
Monte Zugna.
Il generale Franz Conrad.
Don Annibale Carletti.