“Leva obbligatoria di solidarietà”

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    Egregio direttore, ho letto con interesse il “dibattito” iniziato nel numero di luglio idealmente aperto da Gianbattista Stoppani, proseguito da Luca Ripamonti e da Stefano Peroncini, che cerca di approfondire l’idea di come conservare e rinnovare il valore degli alpini.

    Vorrei dare anch’io un mio contributo, da alpino che ha fatto il servizio tutto in prima linea, sulle montagne del Cadore, con marce ed esercitazioni, da alpino semplice, per scelta, pur essendo già laureato. Ho trovato molto bella la riflessione sull’alpinità di Stoppani. Ad ogni modo non credo che questa alpinità possa tradursi solo in un servizio ausiliario all’attuale Esercito di professione. Io sono convinto da anni che della vecchia leva obbligatoria sia da conservare un principio: quello che uno nella vita debba riservare un periodo di tempo, un anno, sei mesi, 18 mesi da dare obbligatoriamente alla comunità. Si contribuisce alla comunità, alla Patria, allo Stato non solo con i soldi, con le tasse, ma anche con il tempo che si ha. Dicono gli economisti che oggi i giovani non hanno lavoro e che quindi c’è un deficit per lo Stato di introiti da tasse non pagate per mancato reddito. Perché non chiedere ai giovani che hanno tanto tempo, di dare obbligatoriamente una parte di questo tempo allo Stato? Nei paesi nordici questo principio sta passando, e riguarda tutti, proprio tutti, maschi e femmine, ricchi e poveri, sani e meno sani. Tutti che danno un contributo alla comunità. Non lo chiamerei servizio civile. Purtroppo questo termine ha una accezione un po’ negativa per alcuni, perché una volta era visto come alternativo al servizio militare. Io lo chiamerei “Leva obbligatoria di solidarietà”. Questa leva obbligatoria di solidarietà potrebbe essere gestita non da un carrozzone burocratico, ma da associazioni benemerite come la Caritas, l’ANA, la Croce Rossa, la Protezione Civile, ecc. E quelli che scelgono queste associazioni, potrebbero poi continuare a farne parte come soci, finita la leva obbligatoria di solidarietà.

    Silvano Bordignon – Rosà (Vicenza)

    Non credo sia importante dove e come dare un po’ del proprio tempo per il bene sociale. L’importante è la cultura che ci sta dietro, quella che ci aiuta a superare l’individualismo, convinti che tutto è dovuto, senza sentire il dovere di fare qualcosa per il bene degli altri.