Quando si ama non si fa fatica

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    Mio padre era un alpino, tenente degli alpini. È “andato avanti” qualche anno fa quando la malattia, dopo 15 anni di lotta, non ha avuto più nulla da prendersi. Per me, però, mio padre “andando avanti” è andato anche in alto, è andato oltre…

    Più in alto di dove, camminando in montagna, mi portava da bambina a cercare mirtilli ed oltre il coraggio e la dignità di un uomo, non solo di alpino. L’ho salutato per l’ultima volta mentre gli alpini dell’ANA di Trento, di cui era stato consigliere, chiudevano il cielo sopra di lui nell’incrocio del picchetto d’onore. Per mesi ho cercato di ricordare il volto di quegli uomini, per lungo tempo ho provato a collegare la loro espressione mesta di quel momento al sorriso ed alla battuta di un commilitone che va a trovare un compagno malato. Non ci sono riuscita, non ho mai ricomposto nella mia mente l’immagine di mio padre sulla sedia a rotelle e di una mano di alpino sulla sua spalla. Ho assistito alla 87ª Adunata nazionale di Pordenone perché, trentina di nascita, da anni ormai abito in Friuli e perché si è trattato di un atto dovuto nei confronti di mio padre il quale, prima di ammalarsi, alle Adunate aveva sempre partecipato. L’ho fatto assieme a mia madre che lo aveva conosciuto all’Adunata di Trieste del 1955 e che da allora non l’ha più lasciato, finché non gli ha chiuso per sempre gli occhi. Mentre l’aria a Pordenone si saturava della musica solenne delle fanfare dei congedati e dei cori alpini, mentre le vie del centro si coloravano delle bandiere d’Italia e dei vessilli dei Gruppi presenti, ho provato a dare un significato a parole quali “fratellanza”, “unità”, “orgoglio”, “onestà” e “solidarietà” che accompagnavano la sfilata. Un’espressione portata con trionfo dagli alpini di quella domenica ha suscitato il mio imbarazzo: “Voler bene costa poco”. No, voler bene costa, costa molto. Richiede coraggio. Quel coraggio che forse è mancato a quegli alpini che sanno portarsi sulle spalle il peso della guerra e della pace, che sono capaci di cercare nelle macerie, di scavare nel fango e nella neve, di ricostruire scuole e ospedali, ma che non sanno affrontare la sofferenza di un amico. Hanno il cuore di bambino gli alpini. A volte scappano, si nascondono perché fa più male di una granata guardare gli occhi di un uomo prigioniero su una sedia a rotelle. Soprattutto fa male guardare i suoi occhi che ti chiedono “Perché?”. Provo affetto e stima per il Corpo degli alpini. Provo comprensione per la loro timidezza di fronte al dolore, per quella loro fin troppo tenera umanità. Ora provo anche rispetto per quell’ultimo gesto al funerale di mio padre, per quel mettersi sull’attenti di fronte alla sua bara: loro avevano capito prima di me che sfilare quotidianamente di fronte alla sua sofferenza avrebbe lacerato le loro divise, sfondato gli scarponi, piegato la loro schiena, stroncato le gambe e spezzato il cuore. Hanno avuto il coraggio di ammetterlo e di chiedere scusa – a se stessi in primo luogo – incrociando le alabarde sulla terra scavata mentre la Paganella brillava al sole di novembre.

    Chiara Naidon – Udine

    Amare costa poco o costa molto? La risposta ci viene da Sant’Agostino il quale dice che quando si ama non si fatica, ed anche se si fatica, la stessa fatica è amata. La differenza sta sempre nello spirito con cui si fanno le cose.