Supera i monti, divora i piani

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    Succede spesso che siano proprio gli alpini a raccontarci storie insolite, impronte ravvisabili ancora oggi lasciate da personaggi poco noti. A tale proposito, qualche tempo fa, per via di quelle strane circostanze che accadono nella vita, Mario Nasatti, alpino del gruppo di Valmadrera (Lecco) ci ha parlato dei Badoni, importante famiglia lecchese. La sua storia si intreccia con le cronache della Grande Guerra, con un approfondimento che ci ha offerto Andrea Bianchi, alpino della sezione di Milano. Noi, alchimisti per gioco, abbiamo unito in un’unica miscela queste due fragranze e… voilà, questo è quanto ne è sortito.

    In procinto di cominciare una lunga marcia in montagna, talvolta accade di alzare il capo e scorgere un vecchio cavo metallico che taglia il bosco. Ad esso è agganciata una cesta, immobile. Bello sarebbe sentirla stridere di nuovo in una corsa capace, d’un lampo, di condurci in vetta. Marchingegno geniale, la teleferica! Utilissima durante la Grande Guerra. Nel 1905 a Cesana (Torino) la Ceretti& Tànfani di Milano, su indicazione del maggiore del Genio Luigi Maglietta, fu la prima a sperimentare una teleferica semplice da montare e smontare, facile nel funzionamento e capace di trasportare una certa quantità di pesi.

    L’Esercito si adeguò presto a queste innovazioni tecniche e nell’inverno del 1916 creò la Specialità del Genio Militare Teleferisti: sei compagnie e due plotoni autonomi, attestati in zona di guerra. Tre erano le principali ditte produttrici di teleferiche ad uso militare: la Ceretti&Tànfani, ancora oggi in attività, aveva commissioni in mezza Europa e nel 1909 costruì la prima linea aerea al mondo per trasporto passeggeri a Lana, sopra Bolzano. Durante la guerra produsse circa 800 impianti teleferici di varia natura sotto la direzione dell’ing. Giuseppe Mulatti di Mantova. Fiore all’occhiello fu la teleferica che sull’Adamello, raggiungeva i 3.100 metri. E poi quelle in Marmolada, sul Seràuta e sull’Ombretta.

    La Luigi Spadaccini, oggi TECI del gruppo Redaelli, sorta a Milano all’inizio della guerra, realizzò le grandi teleferiche a sistema continuo. Era tra le più grandi aziende a produrre i pezzi di ricambio per il mantenimento e le riparazioni. Fra le numerose teleferiche costruite spiccarono per lunghezza e difficoltà tecnica quelle della val di Boite tra le prime in Italia, a fini bellici: percorrevano, in quattro tronchi, oltre diecimila metri. E la B.B.B.- Badoni, Bellani e Benazzoli, poi del gruppo Bonfanti – Costameccanica, chiusa nel 2010. L’azienda B.B.B. fu fondata da Giuseppe Badoni (Lecco, 1807- 1877), valoroso combattente risorgimentale nel 1848, sindaco di Lecco nel 1863 e poi deputato al Parlamento italiano.

    A lui subentrarono, nel 1877, i figli Antonio e Carlo. Antonio morirà prematuramente nel 1892, lasciando così la sua parte di eredità nelle mani del figlio Giuseppe Riccardo che all’epoca aveva 10 anni. Pertanto fu lui, una volta laureatosi, a dare impulso e sviluppo all’azienda fino alla sua morte nel luglio del 1974. Giuseppe Riccardo, chiamato alle armi durante la Grande Guerra, venne ben presto esonerato dal servizio militare per necessità industriale. Tuttavia non abbandonò il fronte e percorse liberamente il territorio delle provincie di Sondrio, Brescia, Verona e Vicenza con un apposito lasciapassare, il salvacondotto, concessogli dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito perché potesse progettare e poi installare le sue teleferiche. Ne produsse oltre duecento.

    Ai soldati somigliava per coraggio e caparbietà e persino per aspetto: i baffi all’imperiale folti color del miele. I capelli un poco arruffati e nell’incarnato, due occhi tondi come biglie. Colmi di grinta, pronti a tutto. Era un uomo del fare, l’ingegner Badoni, seppur elegantissimo nel suo vestito scuro con gilet ben abbottonato. Riuscite ad immaginarlo? indaffarato con matita e carte, volgere lo sguardo sul terreno a cercar il posto giusto per piantare i piloni, poi sollevare la testa e fissare l’aria per immaginare la corsa di quella cesta traballante che mordeva la fune d’acciaio nel suo incessante scendere e salire. Le sue creazioni più famose restano quelle sul Pasubio. Montagna pietrosa, dimora di nebbie e piogge sottili. Coperta di rocce calcaree bianche, accecanti sotto la luce indiscreta del sole estivo. Montagna tagliata da numerose strade, all’epoca parecchio trafficate per i rifornimenti di materiale bellico d’ogni tipo.

    Percorsa da dodici teleferiche funzionanti che partendo dalla Vallarsa e dalla val Leogra divoravano il piano portando tonnellate di materiale fin sulle cime presso il Cosmagnon, la Lora, il Soglio dell’Incudine, le Porte del Pasubio, il passo Fontana d’Oro e le Acque Fredde. Una volta arrivato lì, il materiale veniva inoltrato in prossimità della linea tramite i telefori, ingegnosi sistemi utilizzati per distanze corte con minimi dislivelli. Tra quelle dodici, le quattro teleferiche più importanti furono proprio quelle installate presso l’Hotel Dolomiti a 983 metri: due raggiungevano il Soglio dell’Incudine con un percorso di 3.350 metri. Persino oggi, a quota 2.100 è ben visibile la grande caverna magazzino della stazione d’arrivo, scavata proprio dall’ingegner Badoni. E per questa opera, gli fu concessa una Medaglia di Bronzo al Valor Militare: “Pur non avendo obblighi militari, spinto da altissimo sentimento di amor di Patria, volontariamente dirigeva i lavori riguardanti una importantissima stazione teleferica oggetto di continui bombardamenti nemici. Rimasta questa distrutta, dava mano ad un ciclopico lavoro installando la stazione stessa in caverna nel brevissimo tempo di 25 giorni.

    Durante l’intero periodo, divideva con i valorosi difensori della posizione i pericoli, le ansie, i sacrifici e le sofferenze, dando prova di altissime virtù civili e militari. Soglio dell’Incudine (Pasubio), 18 maggio, 25 luglio 1916 – Bollettino Ufficiale 1921, pag. 186”. Storie di uomini che impiegarono talento e mezzi per il bene della Patria. Vissero al fronte pur non indossando alcuna divisa, ma correndo i medesimi rischi dei soldati. A loro si legarono e forse, proprio per questo affetto, costruirono vere e proprie opere d’arte rendendo migliore la vita in trincea. Chissà quante volte l’ingegner Badoni consumò il frugale rancio degli alpini, accovacciato sullo spuntone di qualche roccia. Chissà quante volte percorse la strada del monte Pasubio, sotto i colpi assordanti dell’artiglieria nemica. E invece ora lassù tutto è silenzio. Non si sente mai più una voce, ma solo il vento che bacia i fior. (m.c.)

    Per saperne di più, non esistendo una pubblicazione recente sulle teleferiche italiane, a chi volesse approfondire l’argomento, si consiglia il testo sulle teleferiche militari austro- ungariche: “Le teleferiche dell’XI Armata austro-ungarica dall’Adige al Brenta, 1915-1918” di Longhi e Zandonati. Ed. Osiride, Rovereto (TN), 2013.